domenica 13 settembre 2020

"Quando parlavamo con i morti", Mariana Enriquez


Un librino dal delizioso formato A6 che raccoglie tre racconti, uno breve e due brevissimi, per un totale di appena 101 pagine. Tre storie surreali, tutte ambientate a Buenos Aires, che l'autrice sfrutta per raccontare i drammi della sua Argentina. 
 
Nel primo raccontino, che dà il titolo alla raccolta, abbiamo i desaparecidos i cui fantasmi vengono evocati da cinque ragazzine attraverso la tavola ouija (che comprano in edicola: per fortuna questa in Italia ancora manca!). 
 
Il secondo, "Le cose che abbiamo perso" - altrettanto corto e che a sua volta dà il titolo a un'altra raccolta di racconti brevi dell'autrice – vuole denunciare la violenza sulle donne. Abbiamo un marito tradito che cosparge di alcool il corpo della moglie e le dà fuoco. In seguito un calciatore fa lo stesso con la fidanzata modella. Entrambi cercano di far credere che siano state le due donne a darsi alle fiamme nel corso di un litigio. Diventa un contagio, mariti e fidanzati danno fuoco a mogli e compagne, finché sono le donne a buttarsi nei roghi da sole, al ritmo di un caso alla settimana. 
 
L'ultimo racconto, quello più lungo, "Bambini che ritornano", rimanda ai numerosissimi casi di bambini scomparsi in Argentina. Nella storia all’improvviso i bambini ritornano, ma senza essere invecchiati (diciamo cresciuti), come se fossero scomparsi il giorno prima, mentre sono passati mesi o anni. 
 
Per gran parte della vita mi sono tenuta alla larga dagli autori giapponesi convinta che mi sarei scontrata con la loro mentalità e invece, pur avendo avuto conferma delle varie diversità, da quando ho cominciato a leggerli nessuno mi ha mai delusa. Anche quelli sudamericani non mi attiravano, seppur per motivi diversi, ma in questo caso rimango quasi sempre insoddisfatta, anche questa volta. 
 
Mariana Enriquez, scrittrice, ma soprattutto giornalista, fa bene a parlare di questi drammi, ma lo fa attraverso la metafora ed è una cosa che non riesco proprio a farmi piacere semplicemente perchè spesso non la capisco e anche quando poi trovo in rete le spiegazioni di quello che non sono stata in grado di cogliere resto sempre molto perplessa. Un tipo di sensazione disturbante molto simile a quella che provo di fronte al 99,99% delle (così definite...) opere di arte contemporanea.

Della Enriquez ho anche “Qualcuno cammina sulla tua tomba. Il mio viaggio nei cimiteri”, ma non so proprio quando mi verrà la voglia di affrontarlo.

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia normale di settembre "un libro scritto da un autore straniero"