mercoledì 14 luglio 2021

"Umami", Laia Jufresa



Città del Messico, 19 settembre 1985. Poco dopo le 7 del mattino un devastante terremoto colpì il Messico causando oltre diecimila morti. Nonostante l'epicentro fosse a 350 km di distanza, sulla costa, le scosse arrivarono anche alla capitale.
Fra gli edifici crollati ci fu la casa natia dell'antropologo Alfonso Semitiel. La campana che decorava la facciata dell'edificio cadde al suolo conficcandosi nel terreno in modo tale da ricordare la spada nella roccia...
E fu attorno a quella campana che Alfonso e la moglie Noelia, cardiologa, costruirono il comprensorio Villa Campanario, ispirandosi alla lingua umana e alle sue papille gustative, con casa Dolce, casa Amaro, casa Acido, casa Salato e anche casa Umami, il quinto sapore percepito dalla lingua umana su cui Alfonso ha scritto anche dei libri...



E vicino all'accesso, sulla strada, c'è un albero di jacaranda: vale la pena cercarlo su Google immagini...

Non avevo mai letto autori messicani e la Jufresa mi ha regalato un esordio felice. Opera prima scritta nel 2015, quindi all'età di 32 anni, "Umami" è un romanzo intelligente per stile e struttura, delicato per i temi trattati e strampalato il giusto, senza quegli eccessi che mi è capitato di trovare in alcuni scrittori sudamericani.

Il libro si divide in quattro parti; in ognuna i capitoli, di lunghezza variabile, non sono numerati, ma sono distinti dagli anni di riferimento che vanno dal 2000 al 2004. Ogni anno ha la sua voce narrante.

C'è Ana, classe 1991, la figlia maggiore dei Walker Pérez, la coppia di musicisti che occupa due case del comprensorio, casa Salato, dove vivono, e casa Dolce, dove ha sede la loro scuola di  musica. Ana nell'estate del 2004 non vuole andare con i fratelli nel Michigan dalla nonna materna e per convincere i genitori ha progettato di trasformare il loro giardino in una milpa.

C'è Marina Mendoza, che ha affittato casa Amaro nel 2002, a 19 anni, e che nel 2003 ha fatto qualcosa che ha portato Linda, la madre di Ana, a toglierle perfino il saluto. Marina si definisce pittrice. Inventa i nomi dei colori associando i suoi stati d'animo alle varie sfumature: biansibile, giallansia, rosentirosso, griste, dorasmo, verdegno, nettrico...
Marina va in analisi e prende lo Xanax...

Naturalmente c'è Alfonso, che per sè ha tenuto casa Umami. Nel 2002 ha 65 anni e vive nel ricordo della moglie morta di cancro l'anno precedente.

C'è Pina, che ha la stessa età della sua amica Ana e che vive a casa Acido con il padre Beto, mentre Chela - la madre - li ha lasciati nel 2000.

E' c'è Luz, la figlia minore dei Walker Pérez, che ha tanta voglia di visitare il castello dell'imperatore Umami in fondo al lago...

La parte centrale del romanzo non è entusiasmante, rallenta, ma la Jufresa è convincente nel dare voce a personaggi di sesso, età ed estrazione così differenti fra loro ed è davvero molto brava nel costruire il grande puzzle attraverso cui racconta vita e sensazioni dei vari abitanti del comprensorio. Capitolo dopo capitolo, facendoci andare a ritroso nel tempo per poi risalire e ricominciare la discesa, fornisce tutte le tessere necessarie per capire cosa è successo ai suoi personaggi e - come direbbe Ana - alle sue personagge.

Ci sono più dispiaceri che gioie, ma la beltà del libro deriva anche da questo.

"Forse morire è proprio questo, no? Quel momento in cui uno smette di portare il proprio peso"

Reading Challenge 2021: questo testo risponde alla terza traccia annuale, "sei libri, l'iniziale dei titoli deve formare la parola Austen"