Oceano
Atlantico, 15 aprile 1912. Le (immaginarie) inglesi Celeste Parkes e May Smith sono
due delle 706 persone sopravvissute all’affondamento del
transatlantico. La prima, passeggera di prima classe, si è salvata prendendo posto su una delle scialuppe di salvataggio, la seconda,
passeggera di terza classe, è stata recuperata in mare grazie all’insistenza
di Molly
Brown e di Celeste. Celeste
viaggiava da sola, May con il marito Joe
ed Ellen, la loro figlioletta. E sarà proprio Edward Smith, il
capitano del Titanic, a porgerle dal mare un fagottino con la bambina.
Per Joe non c’è speranza, ma almeno loro due ce l’hanno fatta. O questo è quello che pensa May finché a bordo del Carpathia riuscirà a guardare
sua figlia…
Seconda
cocente
delusione
del mese. Avevo inserito questo libro in wish list per via del Titanic, ma la
vicenda
strettamente collegata alla nave si esaurisce nei primissimi
capitoli, serve all’autrice per creare i collegamenti fra i vari
personaggi, ma i continui rimandi riferiti alle singole esperienze
non sono quello che mi aspettavo. La Fleming cita persone realmente
esistite, come il capitano Smith e Molly Brown, ma l’intera storia
è frutto di fantasia e non l’ho trovata né interessante nè
tantomeno appassionante.
Il
tomo (573 pagine) tocca quasi cinquant’anni arrivando al 1959 e
diventando una sorta di saga familiare che
abbraccia tre generazioni. Ambientato per lo più in Inghilterra e,
in misura minore, negli Stati Uniti, tocca anche la nostra Toscana,
sciorinando cliché datati e fastidiosi (italiani piccoli e neri, che
sembrano avere come scopo nella vita solo quello di mangiare e
pregare, ecc, ecc…). L’autrice
non se la cava meglio neppure con la storia: sorvola in fretta sulla prima Guerra Mondiale e agli anni del proibizionismo
USA dedica appena qualche frase, dando – perché necessario alla
trama - maggior spazio alla seconda Guerra Mondiale, ma utilizzando
degli aggettivi che mi avrebbero fatto scagliare il libro cartaceo
contro a un muro, cosa che mi sono trattenuta a stento dal fare con
il Kindle per il valore dello stesso: nazisti definiti semplicemente
dei prepotenti, come si potrebbe dire dei bulletti alle scuole
elementari, e i nostri Partigiani chiamati simpatizzanti, come se la
nostra Resistenza avesse avuto solo un ruolo marginale ai fini della
nostra Liberazione!
Ma
anche volendo considerare questi aspetti come dei dettagli rispetto
alle vicende delle tre famiglie coinvolte, sono proprio queste a
essere di basso livello: circostanze che si basano su un'infinità di coincidenze assurde e
un unico stratagemma (quello di far succedere qualcosa di rilevante
quando i personaggi sono distanti fra loro) usato più e più volte,
probabilmente nel (vano) tentativo di aumentare la tensione. Il
tutto appesantito da uno stile narrativo a dir poco antiquato.
Ma a
lasciarmi davvero perplessa è stato il modo in cui la Fleming ha
liquidato quello che avrebbe dovuto essere l’apice della storia, il
momento di maggiore impatto, quello capace di strappare qualche
lacrimuccia ai cuori teneri e che invece ha ridotto a una mezza
paginetta scialba e priva di emozioni, che per questo è perfettamente
in linea con tutto il libro.
A
chi volesse leggerne uno degno sul Titanic, consiglio quello di
Walter Lord, “Titanic. La storia vera”.
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Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia artista di aprile