Ulfingen (Germania), estate 2012. Doro (Dorothea) non ha ancora 17 anni, ma ha già un passato carico di problemi e di dolore. A giugno dell'anno precedente era salita nella cameretta di Kai, il suo terribile fratellino di un anno e mezzo, trovandolo morto nel suo lettino. Da quel momento niente era più andato bene: il divorzio dei suoi genitori, il trasferimento della madre e, soprattutto, il suo prolungato ricovero in un ospedale psichiatrico. Perchè vedeva Kai inseguirla accusandola di avergli fatto qualcosa, qualcosa che però lei proprio non ricordava.
E non lo ricorda ancora, a distanza di più di un anno, ma le allucinazioni sono sparite, ha potuto concludere l'anno scolastico e ora ha raggiunto la madre nel villaggio svevo dove si è stabilita.
Ma la speranza di un nuovo inizio dura pochissimo: un temporale notturno, la porta del capanno che sbatte in giardino, lei che scende per chiuderlo e l'incontro con un ragazzo ferito che la prega di aiutarlo, per poi sparire prima dell'arrivo della polizia e dell'ambulanza. Nessuno le crede e tutto precipita quando, grazie a una fotografia, scopre che il ragazzo del giardino è lo stesso che si era suicidato il giorno in cui lei era arrivata a Ulfingen...
Dopo essersi riscattato con "Follia profonda", con questo quarto romanzo Wulf Dorn torna a deludermi, ancor più che con "La psichiatra" e "Il superstite". Ho deciso di concedergli ancora una possibilità leggendo anche "Phobia",
principalmente perchè l'ho già comprato, ma sono già pronta a dirgli addio
per sempre.
Il problema principale è che non mi piace il suo modo di scrivere, dettaglio non da poco. Trovo il suo stile a tratti ripetitivo, ma soprattutto molto adolescenziale, caratteristica che in questo caso - dove la voce narrante è quella della protagonista ragazzina - emerge prepotentemente e fastidiosamente. Un thriller psicologico, con insopportabili derive verso il fantasy (molto utili all'autore per dare un "senso" agli sviluppi narrativi), che andrebbe catalogato come young adult leggermente gotico: con questa classificazione di genere avrei saputo cosa aspettarmi e la storia, coi suoi eccessi strampalati e inverosimili, non mi avrebbe disturbato come invece ha fatto.
Questo perchè, se con le letture precedenti mi ero trovata a pensare che Dorn aveva avuto delle buone idee sfruttandole malissimo, qui non c'è neppure un buon punto di partenza e mancando la correlazione fra i due punti principali si perde lo scopo di averli inseriti nello stesso libro. In più si arriva facilmente a capire il chi, il perchè e il come prima di quello che dovrebbe essere il colpo di scena rivelatore, la cosa peggiore che possa succedere leggendo un thriller.
In definitiva il fatto che questa volta il titolo originale, "Mein böses Herz", sia stato tradotto fedelmente è l'unico aspetto positivo che riesco a trovare nel libro.