venerdì 15 aprile 2022

"La zia marchesa", Simonetta Agnello Hornby


Sicilia, dicembre 1898. Sono passati tre anni dalla morte prematura di Costanza Safamita. Amalia Cuffaro era stata la sua balia, rimanendo poi a servizio a palazzo. Ma adesso vive in una grotta della Montagnazza insieme alla nipote disabile. Pettinando (e spidocchiando) la ragazzina le racconta  la vita della marchesa, cominciando dalla prima volta in cui la vide appena nata, il 22 maggio del 1859...

Scritto nel 2004, è il secondo romanzo dell'autrice e il secondo che leggo dopo "La Mennulara" (la sua opera prima), che ho preferito a questo, pur essendomi piaciuti entrambi.

Nonostante siano ambientati a un secolo di distanza (seconda metà dell'Ottocento vs anni '60 del Novecento), a tratti li ho trovati simili. Amalia Cuffaro non è la protagonista, ma è una donna di servizio come lo era la Mennulara, e il fatto che sia lei la voce narrante per una parte della storia - alternandosi a un narratore esterno - la rende più importante di quanto in realtà non sia nella trama generale del libro.
Quello che, con tristezza, ho trovato uguale è la mentalità, sia di coloro che hanno il potere (aristocratici vs borghesi), sia di chi lo subisce. 

"La zia marchesa" è una vera e propria saga familiare che, con i suoi salti temporali, racconta tre generazioni dei baroni Safamita, alternando alla breve vita di Costanza quella della madre e del nonno, andando quindi molto più indietro rispetto al 1859, anno di nascita della protagonista.

Non ho trovato i salti temporali ben definiti, più di una volta ho dovuto rileggere dei passaggi per capire se i fatti raccontati si riferivano a Costanza o a sua madre Caterina e che quest'ultima abbia sposato uno zio - facendo così diventare gli altri zii e le zie anche cognati, i cugini anche nipoti oppure cognati, ecc - di certo contribuisce a creare confusione (per mio marito, che oltre alle parentele di primo grado va in tilt, questo romanzo sarebbe un Bartezzaghi!).
Anche i tantissimi personaggi, più o meno importanti, a volte mi hanno portata a chiedermi smarrita: "E questo chi ca**o è?!", cosa abbastanza traumatica per una precisina come me e se, invece di scoprirlo solo alla fine, avessi saputo subito che in fondo c'era un dettagliato elenco di ogni nome citato diviso per famiglia e/o ruolo, vi sarei ricorsa volentieri per dissipare ogni dubbio.

L'autrice ha dichiarato di aver attinto a ricordi e a racconti di famiglia (gli Agnello erano baroni), ispirandosi a un'antenata diventata per i futuri parenti un simbolo di malvagità, la stessa sorte che ha riservato a Costanza: un'ingiustizia perché è una protagonista fin troppo buona, incompresa e non sufficientemente amata.

La Agnello Hornby ha uno stile semplice e molto piacevole, scorrevole, però anche questa volta ha inserito tematiche pesanti (mi ripeto dalla recensione de "La Mennulara": mafia, violenze familiari, violenze non familiari, soprusi, prevaricazione sociale, omertà...) limitandosi a descrivere le varie situazioni, senza mai esprimere una condanna e questo per me è penalizzante, amo trovare la denuncia sociale ogni volta che ce n'è motivo e qui di motivi ce ne sono tanti.
Se nella vita reale la presa di posizione non è per tutti e spesso costa cara, da un autore mi aspetto il coraggio di una critica attraverso la voce dei suoi personaggi, altrimenti viene solo raccontata una storia, che in certi casi - come questo - non viene definita storiella solo perché è bella e ben scritta.

Ci si può accontentare, c'è di peggio, ma c'è anche di meglio: "La lunga vita di Marianna Ucrìa" di Dacia Maraini, per esempio. Due romanzi con tanti punti in comune, direi troppi (cosa che, a dirla tutta, non fa onore alla Agnello Hornby che ha scritto il suo quattordici anni dopo), due storie simili (tra l'altro anche la Maraini si è ispirata a un'antenata principessa), ma con una profondità molto diversa.

Purtroppo entrambe, a differenza della Allende, della Ferrante, ecc, non danno al momento storico dell'ambientazione il risalto che avrei voluto, la Agnello Hornby ancora meno della Maraini. Accenna solo blandamente alle questioni storiche e politiche, una lacuna non da poco considerando che negli anni di vita di Costanza cadono i Borbone, cessa di esistere il Regno di Sicilia, nasce quello d'Italia e la mafia comincia a espandersi diventando in fretta il cancro che conosciamo.

Ma quei brevi cenni sono riusciti ugualmente a sconcertarmi: per me che ho sempre studiato e pensato all'unità d'Italia da genovese - cioè da figlia di quella che, dal Balilla a Bixio a Mazzini e Garibaldi, può considerarsi la città del Risorgimento - è stato piuttosto sorprendente veder attribuito a Garibaldi il titolo di dittatore.
E lì un commento mi è venuto dal cuore: ancor grazie...

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