giovedì 21 aprile 2022

"Undici morti non bastano", Raffaele Malavasi

E' il 10 febbraio 2018 quando l'ispettore Manzi deve intervenire a Sparzi (paesino immaginario dell'entroterra genovese): un anziano contadino scavando nel suo orto ha rivenuto un cadavere. Il corpo si presenta come mummificato, risultato di una sommaria imbalsamazione: è quello di Adelina Bagatta, la maestra del paese, scomparsa nel 1995.
Sparzi diventa così teatro di un altro omicidio che va ad aggiungersi agli undici avvenuti fra il 1944 e il 1975, tutti irrisolti e tutti attribuiti a quello che la stampa aveva soprannominato il Barbiere di Sparzi.
Ma Manzi e la sua squadra si trovano ben presto ad avere a che fare non solo con dei cold case, ma con un omicidio fresco, quello di Francesco Ceccato, lo storico locale che viene trovato appeso a un albero il giorno dopo aver suggerito all'ispettore una certa linea di indagine.
Solo Red Spada può capire se c'è un collegamento fra quegli omicidi spalmati nell'arco di più di settant'anni e verrà chiamato in causa quando nel bosco di Sparzi si perderanno le tracce proprio dell'ispettore.

"Come alcuni lettori avranno compreso, le vicende narrate in questo romanzo costituiscono una rielaborazione molto fantasiosa di fatti realmente accaduti"

Così l'autore scrive all'inizio dei ringraziamenti in fondo al libro: anche se lui non lo cita, il paese dell'entroterra a cui si è ispirato è sicuramente Bargagli, dove fra il 1944 e il 1983 vennero uccise 27 persone. Il colpevole, il cosiddetto "mostro di Bargagli", non venne mai preso e molti sostengono che non si trattasse di un serial killer, ma di una banda, la "banda dei vitelli" (perché vendeva carne al mercato nero durante la Seconda Guerra mondiale).

Cosa sia davvero successo a Bargagli in quegli anni probabilmente non verrà mai scoperto, comunque sia la storia raccontata da Malavasi è chiaramente di fantasia. Ed è davvero molto fantasiosa, forse troppo.

"Troppo" è l'aggettivo che più si adatta a questo suo quarto romanzo, che ha lo stesso protagonista (Goffredo "Red" Spada, ex poliziotto che suo malgrado finisce sempre invischiato nelle indagini degli ex colleghi) e le stesse spalle, l'ispettore Manzi (romanaccio che continua a non capire niente della bontà della cucina ligure: dopo aver precedentemente criticato la nostra abitudine di pucciare la focaccia nel cappuccino, questa volta si rifiuta di assaggiare la farinata!!) e la giornalista Orietta Costa (le cui gesta continuano a farmi sorridere pensando alla pochezza del quotidiano locale per cui scrive).
Sempre nei ringraziamenti Malavasi scrive che le vicende dei tre stanno per concludersi e fa bene a fermarsi prima di raschiare il fondo del barile perché Genova è una città non enorme, ma comunque troppo grande per rendere credibili i continui intrecci di tre personaggi
 professionalmente slegati fra loro.

E' soprattutto arrivato il momento di concludere la vicenda della trama orizzontale che riguarda Red: se davvero il prossimo sarà l'ultimo capitolo della storia, sarà facilmente incentrato sulla morte della moglie del protagonista (vedovo già dalla prima apparizione) e in questa quarta puntata 
Malavasi ha seminato un dettaglio importante che, ne sono sicura, sarà determinante e che, per i miei gusti, fa già capire fin troppo.

Troppo, appunto, come dicevo prima...

"Undici morti non bastano" ha troppe pagine: 512, quasi duecento in più rispetto al primo della serie ("Tre cadaveri"), più di cento rispetto al secondo ("Due omicidi diabolici") e più di cinquanta rispetto al terzo ("Sei sospetti per un delitto"). Malavasi è sempre stato un autore descrittivo, cosa che apprezzo molto in generale, a maggior ragione con lui perché le lungaggini raccontano soprattutto la mia città, ma questa volta in moltissime occasioni si è lasciato prendere da un'ampollosità che non ricordo di aver notato negli altri romanzi.
Avrebbe dovuto fare un bel lavoro di scrematura: meno e meglio, diceva Coco Chanel (e se avesse abbandonato il personaggio di Elisa Baldi al secondo romanzo sarebbe stata una gran cosa!!)...

Troppe parole di scarso uso comune: termini come prodromo, assiso (usato addirittura tre volte), rampogna (usato due volte a brevissima distanza) e tanti altri a infarcire uno stile semplice, a tratti molto colloquiale, stridono tantissimo e sono inutili.

Troppe interruzioni: i tantissimi capitoli (105 più prologo ed epilogo) alternando le varie situazioni in atto creano un spezzettamento che questa volta non è riuscito bene, non so perché, ma questo stratagemma che negli altri tre romanzi riusciva a mantenere vivo l'interesse invogliando a leggere un altro capitolo e poi un altro ancora, questa volta mi ha dato spesso fastidio.

Troppi numeri da circo: il salto deduttivo che fa compiere a Red per portarlo alla risoluzione del caso è degno di un trapezista. Io stessa, pur essendo genovese, sono dovuta ricorrere alla conoscenza (ben superiore alla mia) che mio marito ha della Genova medievale per capire un certo collegamento che invece Red fa basandosi su un'unica parola.

Troppi piani temporali: forse è ingiusto dirlo perché quando poi 
tutto viene spiegato il succedersi degli eventi è semplice e chiaro, ma durante la lettura non si ha questa impressione, in parte anche a causa dei tanti personaggi con gli stessi due cognomi, particolare che però ho apprezzato perché nei paesini dell'entroterra succede per davvero. Alle superiori ho avuto ben quattro compagne di scuola provenienti dai "bricchi" i cui genitori avevano lo stesso cognome pur non essendo parenti fra loro. Però (anche) Malavasi mi è caduto sulle date e per ben due volte! La prima: nel sesto capitolo di questo romanzo colloca la morte della moglie di Spada nell'estate di due anni prima, mentre nel primo libro dice che Anna era stata "rapita nel parcheggio di un supermercato in pieno giorno poco dopo Natale", poi rinchiusa per due mesi e quindi uccisa. Per cui è morta alla fine dell'inverno 2016, non in estate.

La seconda: nel decimo capitolo quando un sottoposto riferisce a Manzi i dati della donna morta nel campo si legge: "Adelina Bagatta, nata a Voghera nel 1937, scomparsa da Sparzi il 15 marzo 1995...", ma quando nel quarantacinquesimo capitolo Manzi chiede alla sorella: "Sua sorella è scomparsa nel 1995, vero?" la donna risponde: "Sì, ispettore, confermo. Era di dicembre, il 18 per la precisione"!

Appunto, precisione! Io mi rendo conto di essere ossessiva e asfissiante (anche) con i particolari e so di dare alle date un'importanza ben superiore alla media, ma se fossi una scrittrice di romanzi la prima cosa che farei è un elenco dettagliato con i particolari che ho attribuito ai personaggi che ho inventato e, in caso di serie, farei enormemente attenzione alla datazione degli eventi. Proprio non mi capacito per queste sviste evitabili.

(A voler essere proprio precisi precisi, nel sessantunesimo capitolo si legge: "La signora Adelina Bagatta, scomparsa senza giustificazioni nel lontano 1975", ma questo è chiaramente un semplice refuso)

Tirando le somme (lo so, dovrei fare buon uso anch'io del "meno è meglio"...), "Undici morti non bastano" non è male, ma è sicuramente il meno bello dei quattro (che vanno rigorosamente letti in ordine cronologico) ed è partito con un enorme handicap: essere la lettura successiva a "Ninfee nere".
Malavasi è bravo, ma lì Bussi è stato geniale.

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