mercoledì 12 ottobre 2022

"Roberto Mancini, senza mezze misure", Marco Gaetani

 

Quindici mesi dopo "La bella stagione" le mie letture sono tornate a tingersi con i colori più belli del mondo. Perché questa è, sì, la biografia di Roberto Mancini e quindi hanno il loro spazi(ett)o anche le altre squadre in cui ha giocato e quelle che ha allenato, nazionale compresa, ma quello che la Sampdoria ha rappresentato per lui (e viceversa) è un concentrato di sentimenti non paragonabile con quelli che sono normali contratti di lavoro.

Lo ha ben capito anche Marco Gaetani - giornalista pubblicista romano classe 1987, nonché tifoso laziale - che, scegliendo di dedicare il suo primo libro a quello che nella sua squadra è stato sia giocatore che allenatore, non ha cercato di stravolgere la realtà facendogli indossare la nostra maglia nel disegno di copertina e scrivendo solo singoli capitoli sulle altre due squadre in cui ha giocato (Bologna e Lazio) e sulle sue tre principali esperienze come allenatore (Lazio, Inter e Nazionale), riservandone ben nove al Mancini blucerchiato. Quasi l'intero libro, com'è giusto che sia.

Scritto alla fine del 2020 e pubblicato nella primavera del 2021 (quindi anch'esso, come "La bella stagione", prima della vittoria dell'Europeo e prima dell'esclusione dai Mondiali), non ha il taglio giornalistico che temevo, ma è un'opera quasi romanzata che segue anno dopo anno la vita professionale del Mancio.
Gaetani a un certo punto scrive: "Se incontrassi Mancini..." e mi ha stupito questa cosa, scrivere un libro su qualcuno senza mai parlarci è strano e la cosa effettivamente si riflette sul testo dove di privato, a differenza dell'altro libro, non c'è quasi nulla.

Del resto gli autori de "La bella stagione" sono proprio Mancini e Vialli, e se anche il libro lo avrà materialmente scritto Domenico Baccalario (il curatore), quello che racconta sono i ricordi dei due gemelli del gol.

Gaetani, invece, scrive quasi esclusivamente di partite, di classifiche, di calciomercato. Descrive tantissimi gol (bisogna essere, non solo amanti del calcio, ma proprio tifosi per poterlo apprezzare) e lo fa benissimo, li fa rivivere. Io la maggior parte li ho visti dagli spalti: dei 204 gol segnati in carriera, ben 173 li ha fatti con la maglia della Samp. Tanti me li ricordavo, ma ho cercato su YouTube i video di ogni nostra partita citata e anche qualcuna delle altre (è colpa di questo libro se le mie letture questo mese stanno andando così a rilento).

"Tu che sei un campione e ti chiami Bobby Gol,
facci un gol, facci un gol di tacco Bobby gol"

Questo era uno dei tanti nostri cori per il Mancio, ma qui posto il video di quello che è passato alla storia come "il gol di tacco di Mancini": me lo sono riguardato almeno dieci volte, non lo so se sia il più bello, ma indubbiamente è uno di quei gol che da soli valgono il prezzo non del biglietto della partita, ma dell'abbonamento all'intero campionato.

I servizi di "90° minuto" e de "La domenica sportiva" sono senz'altro stati la fonte principale per la stesura di questo libro: Gaetani descrive quello che è stato trasmesso ai tempi, a volte riporta fedelmente le interviste di fine partita. Aggiunge i suoi ricordi solo quando parla di Mancini giocatore e allenatore della Lazio e solo in quei casi i commenti sono più quelli di un tifoso che di un giornalista, ed è normale e giusto che sia così.
Io, che il 20 maggio 1992 ero a Wembley, il gol di Koeman che ci costò la Coppa dei Campioni, lo ricordo con uno stato d'animo ben diverso dal suo, ma dedicare a quella partita il prologo del libro è stato un bel gesto.

Quello era un calcio diverso, migliore. Le rose non erano infinite (noi vincemmo lo scudetto con soli 16 giocatori). Ogni squadra poteva avere al massimo due, poi tre, giocatori stranieri, cosa che portava a coltivare i talenti italiani.
Roberto Mancini calciatore adesso non avrebbe rivali in Nazionale, mentre all'epoca ne aveva fin troppi. Questo, e il suo carattere non certo accomodante, hanno limitato le sue presenze in maglia azzurra. A proposito dell'estromissione da Italia 90 Gaetani riporta un bellissimo stralcio dell'intervista rilasciata a Marino Bartoletti per il "Corriere della Sera":

"Ora che sono allenatore, Vicini lo capisco ancora meno. Settanta giorni di ritiro per fare lo spettatore. Si comportò malissimo con me, non ebbe neppure il coraggio di darmi una spiegazione. Probabilmente il mio torto, come quello di Vialli e Vierchowod, era solo quello di giocare nella Sampdoria e non in una società più forte politicamente. E Vicini, si sa, non è mai stato un cuor di leone. In quel Mondiale non fu nemmeno un tecnico accorto: contro l’Argentina sarebbe bastato mettere Vierchowod su Maradona. Lo avrebbe annullato e tutto sarebbe cambiato. Lo avrebbe visto anche un cieco. Purtroppo, non Vicini. Un regalo però ce lo fece. Ci fece talmente imbestialire, ferì così tanto il nostro orgoglio, che noi della Samp vincemmo alla grande lo scudetto."

Dopo Samp/Sampdoria (che nel libro appare 1.093 volte) e gol (633), la parola più ripetuta è lite/litigio: è impossibile parlare del Mancio ignorando il suo modo di essere. Il "senza mezze misure" che completa il titolo è sicuramente riferito alle sue capacità tecniche, ma credo soprattutto alla sua incapacità di frenarsi. Un'incapacità che non ho mai potuto criticare perché ci accomuna e che mi rendeva comprensiva, e anche orgogliosa di lui, quando lo vedevo dare di matto in campo.

Gaetani non parla, forse perché non ne era a conoscenza, dei suoi otto livelli di incazzatura, ma gli riconosce il giusto merito di non aver mai avuto paura nell'esporsi, facendo nomi e cognomi. Da noi era la perfetta antitesi alla (per me odiosa) diplomazia di Gianluca Vialli.

Vialli che nel libro ha il suo spazio, e non poteva essere altrimenti ("Per stagioni e stagioni, sono stati il volto della Sampdoria. Anzi, sono stati la Sampdoria."). Come lo hanno Attilio Lombardo, Fausto Salsano, Vujadin Boskov e, naturalmente, Paolo Mantovani.

La Samp torna sempre nei discorsi di Mancini e nei suoi pensieri: è a noi che ha dedicato la vittoria agli Europei e sicuramente ha messo una buona parola con Dejan Stankovic, di cui è stato compagno di squadra e allenatore, per convincerlo a venire ad allenare una squadra ultima in classifica e senza società, a un passo dal possibile fallimento.

Nel 1997 aveva detto:

"Questa gente mi ha voluto bene sempre, anche all’inizio, quando giocavo poco e non benissimo. Ho dato tanto, ma in cambio ho avuto ancora di più. Ora vado via, ma il mio sogno è fare l’allenatore: sarebbe bello tornare ed essere importante come lo sono stato da calciatore per quindici anni. Potrei ripagare quei tifosi che ora si sentono traditi. Forse ho vinto meno di quanto era possibile, ma l’amore vale più dei successi."

E
 un giorno tornerà.


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