lunedì 24 agosto 2020

"L'abito da sposo", Pierre Lemaitre

 
Parigi, 27 maggio 2002. Léo ha sei anni e sta trascorrendo il pomeriggio ai giardinetti con Sophie, la sua strana baby-sitter. Sophie non è socievole come tutte le altre tate, anche quel giorno all'improvviso cambia umore e gli tira un gran ceffone quando lui si impunta perché non vuole tornare a casa. Ma Sophie agli occhi dei ricchi genitori ha il grande pregio di adattarsi a tutti i loro orari e ai repentini cambi di programma. Quella sera rientrano così tardi che Sophie per la prima volta accetta la proposta di fermarsi a dormire lì. Si sveglia quando è già mattina inoltrata, i coniugi Gervais sono sicuramente già andati al lavoro facendo attenzione a non svegliare né lei né il figlio, ma adesso è ora. Sophie entra nella stanza del bambino, vede la sagoma del corpicino sotto alle coperte. C'è troppo silenzio, non lo sente respirare, nessun movimento quando lo chiama. E quando lo scopre capisce perché: Léo ha polsi e caviglie legati, il visino verdastro privo di vita e quello che è stato stretto attorno al suo esile collo fino a penetrarne le carni è chiaramente uno dei lacci degli scarponi di Sophie.
Ed è qui che inizia la fuga di Sophie Duguet, perché lei non ricorda nulla, ma è da due anni che qualcosa non funziona più nella sua testa e adesso può solo scappare, senza sapere di essere già inseguita...

Il libro mi era stato regalato qualche anno fa dalla mia gemellina Lorena, che me lo aveva descritto come uno dei thriller più angoscianti che avesse mai letto, opinione confermata da mia sorella che lo ha letto di recente. Ed è per colpa loro (^__^) e delle altissime aspettative che avevano creato con i loro giudizi che sono rimasta delusa, e non poco.

Non posso dire che sia brutto (ce ne fossero...), ma il nervoso che mi ha provocato la situazione descritta ha di gran lunga superato la suspense, che indubbiamente non manca.

È un libro particolare, diviso in quattro parti.
La prima racconta in terza persona il presente e il passato di Sophie Duguet, questa giovane donna di 28 anni fortemente disturbata e per la quale - nonostante la pena per i recenti lutti subiti - diventa difficile provare empatia.
Nella seconda si passa al narrato in prima persona, è la parte migliore del libro, che cambia marcia diventando incalzante e coinvolgente. È qui che in me è nata la rabbia e forse l'angoscia di sorella e amica.
Nelle ultime due si torna alla terza persona. Credo che la quarta per molti rappresenti la parte più adrenalinica, mentre per me è stata quella più deludente. Le "strategie impeccabili" decantate nella sinossi le ho trovate inutilmente artificiose e se anche alla fine tutto viene ripreso, collegato e spiegato come amo, l'epilogo non segue quel raziocinio che avrebbe avuto una situazione del genere nella realtà, salvo avere a che fare davvero con una persona squilibrata.

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia artista di agosto