venerdì 7 agosto 2020

"I giustizieri della rete", Jon Ronson


Sottotitolo: “La pubblica umiliazione ai tempi di internet”.

In generale non amo i libri dal taglio giornalistico, cosa che però mi aspettavo dato che la professione dell’autore è quella, ma lo stile di Ronson non mi è sembrato quello di una grande firma e la ripetitività di quello che racconta mi ha reso pesante e noiosa la lettura, che infatti ho trascinato per più di due settimane. Ma non è per questo che il suo libro non mi è piaciuto.

Questo saggio era entrato nella mia wish list appena pubblicato, nel 2015, grazie (diciamo a causa…) di una invitante recensione letta su una rivista femminile. La giornalista ne consigliava la lettura a chiunque, in particolare ai giovani per metterli in guardia dai rischi che si corrono quando si pubblica sui social.

Dalla sinossi sapevo che il libro raccontava casi di persone reali le cui vite erano state rovinate dopo essere state prese di mira in rete.

Così, fra il trafiletto sulla rivista e la descrizione del libro, avevo inteso che parlasse di innocenti vittime del bullismo virtuale. Invece no.

Se non posso dare torto a Ronson quando afferma: “Questo libro parla di persone che non hanno fatto granchè di sbagliato”, perché effettivamente nessuno di loro è reo di azioni violente o di reati gravi, non posso nemmeno condividere il modo in cui minimizza le loro azioni, anche in nome di quella libertà di espressione a cui invece ognuno di noi dovrebbe porre dei sani limiti dettati per lo meno dal buon gusto.

Per Ronson il truffatore, la razzista, il nazista, ecc, di cui parla sono state vittime dei social. Per me se sono finite sotto attacco è stato a causa delle cose condannabili che hanno scritto o fatto, diventando al limite vittime della loro ignoranza e/o arroganza.

Justine Sacco lavorava come PR e nel 2013 venne licenziata dopo gli oltre centomila commenti negativi arrivati nell’arco di poche ore in risposta a un suo Tweet razzista postato mentre stava per partire per una vacanza in Sud Africa: “Going to Africa. Hope I don’t get Aids. Just kidding. I’m White!” (“Sto andando in Africa. Spero di non prendere l’AIDS. Sto scherzando. Sono bianca!”).

L’anno prima anche Lindsey Stone venne licenziata a causa dell’inferno che si scatenò dopo che ebbe postato questa fotografia scattata accanto a una tomba nel Cimitero Nazionale di Arlington: 

 

Ronson di entrambe dice: “Non hanno fatto nulla di male”. Certo non hanno ammazzato nessuno, ma per me già è difficile comprendere come possa venire in mente di fare una foto del genere trovandola divertente, ancora meno come si possa esserne così compiaciuti da volerla condividere sui social. Se però si è così imbecilli poi non ci si può stupire se c’è chi si indigna, datori di lavoro o utenti dei social che siano.

Ammetto che in certi casi ci sia stata una sproporzione fra quello che gli imbecilli hanno fatto e la portata degli attacchi subiti, ma questa è l’era di internet e chi fruisce dei social sa benissimo come funziona. Nessuno dei casi raccontati nel libro tratta di persone stritolate dalla gogna mediatica senza aver fatto nulla (come quelle che vengono derise per il proprio aspetto o per il proprio orientamento sessuale, tipiche vittime di bullismo, virtuale e non), ma sempre e solo di persone adulte finite nel mirino per aver oltraggiato, deriso o truffato qualcun altro, vivo o morto.

Sul finale Ronson arriva a mettere sullo stesso piano gli episodi raccontati fino a quel momento con l’umiliazione patita da una sedicenne sul banco dei testimoni durante il processo contro il ragazzo che l’aveva violentata (nel libro è riportato uno stralcio del dibattito, inqualificabile che all’avvocato della difesa sia stata permessa una simile libertà!). La ragazza si suicidò due settimane dopo l’udienza. Non mi è chiaro perché l’autore abbia inserito la sua storia in un libro che parla di umiliazione patita in rete, ma lei per me è l’unica vera vittima di cui il libro parla.

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia normale di agosto "un libro con un disegno in copertina"