Sussex
(Inghilterra), marzo 1942. Sono passati soltanto tre mesi dalle
vicende narrate ne “Il tempo dell’attesa”, la guerra è nel
vivo e la seguiremo passo passo fino alla resa incondizionata della
Germania l’8 maggio 1945 attraverso il coinvolgimento diretto di
alcuni personaggi e, come nelle prime due puntate, soprattutto
tramite le conversazioni e le considerazioni interiori di chi,
invece, continua a condurre un’esistenza più o meno normale
lontano dal continente europeo.
E
anche le vite dei tanti Cazalet, e non, proseguono. Questo terzo
volume della saga, che con le sue 526 pagine è il più breve dei
cinque, è quello dei legami sentimentali, per lo più negativi:
amori non corrisposti, amori ostacolati, amori che non si possono
vivere alla luce del sole, ma anche rapporti malsani, subiti,
tiranneggiati…
I
personaggi femminili restano quelli a cui l’autrice dà il massimo
spazio: le ragazze continuano a crescere, si affacciano al mondo del
lavoro, cominciano a diventare indipendenti, mentre alle donne che
abbiamo conosciuto quando erano già adulte sembra non succedere mai
nulla di bello.
Se
avevo trovato il secondo volume leggermente sottotono, questo mi è
piaciuto forse anche più del primo: ormai i personaggi sono noti,
chi legge ha ben chiari i vincoli parentali e di ognuno (domestici
compresi) si sa l'età, di cosa si occupa, soprattutto lo si conosce
caratterialmente e si ha un’opinione, positiva o negativa che sia.
Non bisogna più sforzarsi per ricordare, come invece succede ne “Gli anni della leggerezza”, e questo rende più snella e piacevole la
lettura.
Ho
di nuovo trovato meraviglioso il modo in cui la Howard racconta i
dettagli delle vite di ogni personaggio, spesso andando a ritroso
recuperando tutto, senza mai generare confusione. Amo gli spunti di
riflessione che semina qua e là, ad esempio su stato sociale,
comunismo e socialismo attraverso il diario tenuto da Clary, così
come ho apprezzato e condiviso le considerazioni di Zoe sui libri
classici e anche sulle difficoltà dei civili durante la guerra,
anche se una frase che le fa dire (“Aveva paura durante gli
attacchi aerei? No, aveva risposto lei, le facevano molta più paura
i ragni”) mi ha fatto venire la pelle d’oca (dalla rabbia).
Ma
soprattutto ho ammirato come descrive la guerra attraverso i dialoghi
fra i personaggi. Rispetto al libro precedente, questa volta dà più
spazio al conflitto, senza eccedere, ma non ne ha bisogno perché è
così brava da riuscire in più di un’occasione a scatenare orrore
e dolore in chi legge, le bastano anche solo tre parole: “Siamo
arrivati tardi”.
Reading
Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia a cascata di annuale "una saga composta da cinque libri"