martedì 17 dicembre 2024

"No exit", Taylor Adams

 

Colorado (Stati Uniti), 23 dicembre di un anno non precisato. Sono le 19.39 e Derby Thorne, 20 anni, sta arrancando sulla statale che sale attraverso i boschi, colpita da una colossale bufera di neve. E Blue, la sua vecchia Honda, non ha neppure le catene. Da qualche chilometro all'auto manca anche un tergicristalli. Derby deve assolutamente tornare a casa, nello Utha, entro mezzogiorno del giorno dopo, prima che la madre entri in sala operatoria per un intervento che potrebbe esserle fatale. Deve chiederle scusa per le brutte cose che le ha gridato per telefono il giorno del Ringraziamento. Ma per il momento deve arrendersi, ripararsi nell'area di servizio di cui ha appena oltrepassato il cartello, scaldarsi e aspettare che gli spazzaneve arrivino a sgombrare la strada. Nel parcheggio ci sono già tre mezzi - un furgone, un pick-up e un'altra auto sepolta dalla neve - e dentro al locale trova quattro persone. I problemi cominciano un'ora più tardi quando, dopo essere uscita sperando di trovare un po' di segnale per chiamare la sorella, passando di fianco a un furgone vede qualcosa di assurdo attraverso il vetro: la manina di un bambino aggrappata a una gabbia per cani.
Sarà una lunga notte e in pochi vedranno l'alba del giorno dopo.

Terzo romanzo scritto (nel 2017) da Taylor Adams, autore e regista statunitense, il primo a essere stato tradotto in italiano (solo quest'anno ne è stato tradotto un altro, "L'ultima parola") e uno dei primissimi eBook che avevo comprato dopo aver cominciato a leggere anche sul Kindle. Era decisamente arrivato il suo momento.

Gran parte del libro è costituto dalle congetture e dalla pianificazione della protagonista, spesso con poca logica: è un qualcosa che il tipo di trama rende obbligatorio (storia concentrata in poco più di dieci ore, dal crepuscolo all'alba, in un ambiente chiuso, con un numero ridottissimo di personaggi), ma le ripetizioni annoiano, nonostante quasi alla fine di ogni capitolo ci sia un colpo di scena, più o meno rilevante.

Una dinamica che funzionerebbe meglio sullo schermo, per un'americanata perfetta, mentre la scrittura ne enfatizza i difetti, in primis il continuo gioco del gatto e del topo che diventa presto ripetitivo, con risvolti esagerati e inverosimili. Anche i personaggi sono poco credibili, i dialoghi da dimenticare.

Ma non mi sono ancora ripresa dalla pesantezza de "I miei uomini" mentre il libro di Adams, nonostante tutto, mi chiamava dal comodino: a volte è bello accontentarsi di poco.

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