Francia,
2008. Aurélie ha 18 anni, seconda di tre figli, madre francese,
padre di origini calabresi. Una famiglia operaia, povera. Due
genitori con un unico scopo, quello di riuscire a far studiare i
figli per permettere loro uno scatto sociale.
Alejandro
ne ha 24, è arrivato in Francia per proseguire gli studi dopo aver
conseguito una laurea in letteratura in un’università privata di
Bogotà. Perchè in Colombia faceva parte del ceto medio-alto, mentre
in Francia si ritrova a dover studiare e contemporaneamente lavorare
per riuscire ad avere un posto dove vivere.
Si
conoscono quindi da studenti, a Grenoble, la città di lei. Lei che
si innamora di lui, lui che dichiara in partenza che non potrà mai
sposare una donna europea. Perchè già dopo un anno ha capito di non
sentirsi più colombiano, ma sa anche che non sarà mai francese…
Romanzo
di esordio per questa giovane francese (paragonata a Michel
Houellebecq) a cui sono arrivata grazie a Marco Cantoni che nel video
letture di maggio ne ha parlato come il miglior romanzo di narrativa
da lui letto fino a quel momento per il 2019.
Pur
avendone apprezzato moltissimo stile e linguaggio (non sembra affatto
un’opera prima), non mi sento pervasa dallo stesso entusiasmo di
Cantoni e credo che ciò dipenda dal non essermi ritrovata nel
contesto avendo vissuto gli anni fra i 18 e i 25 (e un po’ oltre,
direi) in un’epoca diversa. In altre parole, fortunatamente non ho
mai dovuto sperimentare la condizione di lavoratrice precaria.
Perchè
è questo il tema portante del libro: non la difficoltà di
integrazione del ragazzo colombiano (come la sinossi spinge a
pensare, ma se lui fosse stato francese non sarebbe cambiato nulla)
né tanto meno la storia d’amore fra i due. La protagonista è
Aurélie che dopo un anno di università interrompe gli studi e si
trasferisce a Parigi perché annoiata dalla vita di provincia e nella
capitale si ritrova a fare una vita quasi da barbona con un lavoro
triste, sfruttato e mal pagato.
Un
libro impietoso verso la Francia.
Una
Grenoble descritta come “una conca grigia, una verruca incuneata
tra tre massicci”, città di cui invece io ho un bellissimo
ricordo, forse perché è il posto dove in assoluto mi sono sentita
più vicina alla lotta partigiana, e se è vero che le sensazioni
vissute come turista di giornata sono effimere, è anche vero che –
a differenza dei giovani personaggi del libro – non ho mai avuto il
mito della grande città, della capitale.
Ma
anche Parigi non ne esce tutta intera: brutta, imperfetta, malsana.
Non potrei mai viverci (per me già Genova è troppo grande…), ma
l’ho comunque amata.
E
la nazione in generale, una Francia che si preoccupa di rendere
accessibile a tutti la cultura e che fa studiare i suoi figli solo
per creare dei disoccupati o dei precari perché con quegli studi non
li prepara adeguatamente al mondo del lavoro lasciandoli senza
prospettive.
Ho
sempre pensato, e sinceramente continuo a pensarlo, che alcune
cose funzionino meglio in Francia che da noi. Questo libro mi ha
spiazzata, ma soprattutto lo hanno fatto le parole di
Cantoni che sono andata a riascoltare poco fa. Lui, che ha meno di
trent’anni, dice che il libro racconta i ventenni di oggi e la vera
società, e qui
mi rendo
conto di non saperne nulla dei ragazzi di oggi: sono
davvero parcheggiati all’università in attesa di allargare le fila
dei disoccupati e dei precari?
Avvilente.
Preoccupante. Ma in fondo, a ben pensarci, ci sono miei coetanei,
quindi adulti fatti e finiti, che vanno avanti grazie ai
finanziamenti degli anziani genitori e questo è ancora più
avvilente.
Reading
Challenge 2019: collegamento con la traccia musicale di ottobre per i
piedi in copertina