Saule-Mort
(Alta Provenza), febbraio 1852. Il paese, favorevole alla Repubblica,
subisce un rastrellamento da parte della gendarmeria di Napoleone
III: tutti gli uomini vengono portati via, alcuni subito uccisi,
altri deportati. Le donne, soprattutto le più giovani, fra cui
l’autrice, si sentono private di quello che allora era lo scopo
principale delle loro esistenze: riprodursi. Isolate dal resto del
mondo, senza sapere cosa stia succedendo nel resto di Francia,
stringono un patto: quando e se un uomo tornerà al villaggio, se lo
divideranno.
Violette
Ailhaud, nasce a Saule-Mort nel 1835 ed è lì che muore nel 1925.
Sei anni prima, quindi a 84 anni, scrive questo racconto, lo sigilla
e lo include nel suo testamento, con l’indicazione di consegnare la
busta alla sua prima discendente femmina di età compresa fra i 15 e
i 30 anni, tassattivamente dopo il 1952.
Verità
o trovata commerciale? Effettivamente lo stile di scrittura è molto
moderno, non dimostra i quasi cent’anni che ha. Resta comunque una
lettura molto, molto particolare e piacevole, nonostante la tristezza
di ciò che racconta. Dubbi sulla veridicità della storia pare non
ce ne siano, e quindi abbiamo tutta l’atrocità di un conflitto con
il suo bagaglio di crudeltà, lo sterminio degli uomini, il disagio
delle donne.
Non
posso dire che mi sia piaciuto il messaggio che contiene, una donna
può vivere benissimo senza un uomo, ma mi rendo conto che nel 1852,
per di più in un piccolo villaggio isolato, la forza fisica di un maschio fosse più
necessaria di quanto lo sarebbe oggi e che ci volesse una mentalità
non in linea con i tempi per concepire un’altra donna come fonte di
affetto e di appagamento sessuale. Per la riproduzione niente da
dire, in quello l’uomo ha un suo perché e, essendo prossimi agli 8
miliardi di abitanti sulla Terra, direi che dovremmo deciderci
(tutti) a sfruttare un po’ meno l’uomo seme.
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Challenge 2019: per questo testo uso il bonus casata che noi Lost in
Austen ci siamo aggiudicate a settembre