Stati
Uniti, giorni nostri. Il primo giorno dell’ultimo anno di liceo
Evan si presenta a scuola in compagnia del gesso che gli avvolge il
braccio che si è rotto durante l’estate cadendo dalla quercia su
cui si era arrampicato per vedere il mondo dall’alto. Peccato che
quel gesso sia la sola cosa che lo accompagni: Evan è un ragazzino
desolatamente solo, invisibile agli occhi di chiunque, genitori
compresi.
E
quando una delle lettere motivazionali che si era scritto seguendo le
istruzioni del suo psicologo viene scambiata per il saluto di addio
di Connor, morto suicida, è per insicurezza e non per volontà che
Evan non ha la forza di chiarire subito l’equivoco.
Una titubanza
che darà vita a una serie di eventi più grandi di lui.
Come
mi era già capitato con i tre Young Adult letti nel 2017, anche in
questo caso l’ho apprezzato maggiormente a lettura ultimata perché
è innegabile l’utilità che questi romanzi (per lo meno quelli che
letti da me) possono avere “parlando” agli adolescenti.
Ma, avendo abbandonato quella fase dalla
bellezza di sette lustri, il meccanismo narrativo che presenta
esclusivamente il punto di vista dei ragazzi, relegando i personaggi
adulti a semplici comparse, mi lascia un senso di incompletezza,
soprattutto durante la lettura, prima di arrivare a comprendere il
messaggio che vuol essere lanciato.
Ed
essendo io adulta, anche se non genitrice, non posso fare a meno di
concentrare la mia attenzione sulle mancanze dei “grandi”,
sicuramente accentuate dalla visione adolescenziale della prosa (spero che ogni
figlio sia amato dai propri genitori più di quanto un quindicenne
sia disposto o capace di riconoscere), ma che non credo possano
essere totalmente privi di responsabilità per l’assenza di dialogo
e di apertura mentale (non solo da parte dei genitori, ma anche di insegnanti,
allenatori, ecc) quando si arriva a parlare dell’incidenza dei
suicidi fra ragazzi in età scolare.
E’
straziante il modo in cui nel libro viene descritta la solitudine
patita sia da Evan che da Connor, le loro carenze affettive, le loro
insicurezze e il senso di inutilità che provano.
"Mi
è toccato morire perché si accorgessero che prima ero vivo”
Un
messaggio potente per gli adulti, anche per chi non ha figli, come
me.
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