Rabat,
qualche anno fa. Giorgio è un diplomatico assegnato all’Ambasciata
italiana in Marocco dove si è trasferito con la giovane moglie
Silvia e la loro bambina, Maria. La vita scorre piacevole e
tranquilla per tutti i membri di questa famiglia serena, quanto meno
all’apparenza.
Roma,
alcuni anni dopo. Silvia e Maria sono rientrate in Italia da quattro
anni. Adesso Maria ne ha 13, ha perso la serenità di quando era
piccola e anche il rapporto madre e figlia sopporta tensioni che
vanno oltre al rapporto difficile che spesso si crea fra genitori e
figli adolescenti, situazioni così comuni da essere normali. Ma non
c’è nulla di normale in ciò che avviene durante il pranzo
domenicale in cui Silvia presenta alla figlia Antonio, il suo nuovo
compagno.
Opera
prima (e non si direbbe da quanto è ben scritto) e per ora unica
(peccato) di questa giovane (non giovanissima) scrittrice catanese
che ai tempi dell’uscita del libro aveva spaccato la critica e,
dopo averlo letto, ne capisco il motivo.
Il
tema trattato è delicato quanto orribile, una bambina abusata dal
padre: non sto facendo spoiler, la storia è nota, la sinossi stessa
del libro lo dice (e dice troppo, consiglio di leggerla alla fine,
come ormai faccio quasi sempre), ma soprattutto il lettore lo scopre
nelle primissime pagine. E questo è un bene perché il passato di
Maria fornisce l’indispensabile chiave di lettura per i suoi
atteggiamenti durante il pranzo domenicale del presente.
La
voce narrante è quella di Silvia, una donna così impegnata nel
ruolo di moglie e di madre perfetta, da essere così ottusamente e
odiosamente cieca da non riuscire a riconoscere i segnali malati del
marito né quelli del dramma vissuto dalla sua bambina.
La
Giurickovic Dato dovrebbe dare lezioni a Ruth Newman (e non solo,
cito lei in particolare solo perché fresca di lettura) su come
raccontare una storia usando piani temporali diversi. Ne “La figlia
femmina” - scritto così bene da farlo risultare scorrevole
nonostante la pesantezza della vicenda – si passa con eleganza da
Roma a Rabat, dal prima al dopo, con il dopo che a sua volta
abbraccia alcuni anni e circostanze diverse, Maria a cinque anni,
Maria a nove anni, ma anche la vita di Silvia e di Giorgio prima
dell’arrivo di Maria.
A
disturbarmi moltissimo a fine lettura sono state alcune cose scritte
nella sinossi: “Maria
è davvero innocente, è veramente la vittima del rapporto con suo
padre?”.
E
ancora: “La
figlia femmina mette in discussione ogni nostra certezza: le vittime
sono al contempo carnefici, gli innocenti sono pure colpevoli”.
Non ho trovato una Maria colpevole nel libro, neppure alla luce di
ciò che ha fatto in passato e che fa nel presente. Ma soprattutto è
la prima domanda che mi indigna: una bambina che a cinque anni viene
violentata dal proprio padre cosa può essere se non una vittima???
L’editore ha reso un pessimo servizio all’autrice e questo libro
avrebbe meritato di andare oltre alla sola candidatura al Premio
Strega 2017: a mio giudizio supera di molte spanne il vittorioso “Le otto
montagne” di Cognetti che ha solo una cosa in più rispetto a “La
figlia femmina”: l’essere molto commerciale.
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