venerdì 27 maggio 2022

"Zombie", Joyce Carol Oates

 
Mount Vernon (Michigan), maggio 1994. Il protagonista, che è la voce narrante, si presenta subito a noi lettori dicendo di chiamarsi Q_ P_ e di avere trentun anni e tre mesi. Anzi, trentun anni & tre mesi (abbastanza fastidioso l'uso continuo della e commerciale, mi piacerebbe sapere se è presente anche nel testo originale). 
Successivamente scopriamo che la Q sta per Quentin mentre il cognome resta una P, che è nato l'11 febbraio del 1963, che è stato condannato a due anni con sospensione della pena per violenze sessuali su un dodicenne di colore, che per questo è in libertà vigilata e che è il custode della villa vittoriana di famiglia frazionata in appartamenti.
E anche che è un serial killer.
Lui, in verità, non vorrebbe uccidere: gli omicidi sono il risultato involontario dei suoi maldestri tentativi di lobotomizzazione. Ma farlo non è semplice come gli era sembrato leggendo la procedura in biblioteca... "Il punteruolo viene inserito con l'aiuto di un mazzuolo nell'orbita sopra il globo oculare. L'impugnatura viene in seguito ruotata di modo che la lama recida le fibre alla base dei lobi frontali"


Decisamente più facile a dirsi che a farsi. Il primo, il secondo, il terzo, finora sono morti tutti, ma Quentin non si arrende, non può, vuole creare il suo "zombie", cioè il suo schiavo sessuale. Ne ha bisogno, cosa c'è di male? Grandioso monologo interiore di un folle scritto dalla Oates nel 1995 e vincitore nello stesso anno del Bram Stoker Award for Novel che premia i romanzi horror. Personalmente ho un'idea diversa dell'horror, "Zombie" lo definirei più un thriller (perché l'adrenalina scorre a fiumi) con risvolti orridi, perché tali sono le pratiche di Quentin. Ma l'aspetto davvero raccapricciante è che il suo personaggio è ispirato al tragicamente reale Jaffrey Dahmer, passato alla storia con il soprannome de "il cannibale di Milwaukee", che uccise diciassette persone fra il 1978 e il 1991. Catturato e successivamente condannato a più di un ergastolo, venne ucciso da un altro detenuto nel 1994 (vale a dire un anno prima della pubblicazione di "Zombie"). Dahmer violentava le sue vittime da vive e da morte, le sezionava e se le mangiava. E ad alcune trapanava il cranio per lobotomizzarle iniettando acqua bollente o acido muriatico. Ovviamente morivano, ma l'idea dello zombie poi ripresa dalla Oates era proprio sua. E lei non risparmia nessun raccapriccio a chi legge. Quentin è malato, ha una mente sufficientemente organizzata per nascondere quello che fa, ma fa in modo di non essere scoperto non perché consapevole di fare del male, ma per evitare di essere "molestato" dalle forze dell'ordine. E' al limite, non si rende conto che è sbagliato sottomettere o uccidere altri esseri umani. La sua idea dello zombie personale è quasi romantica.
"Ovviamente uno Zombie non giudicherebbe mai. Uno Zombie direbbe: «Dio ti
benedica, Padrone». Direbbe: «Tu sei buono, Padrone. Sei gentile e
misericordioso». Direbbe: «Inculami, Padrone, cavami le budella dal buco
del culo». Chiederebbe da mangiare in ginocchio e in ginocchio
chiederebbe il permesso di respirare. Sarebbe sempre rispettoso. Come
glielo ordinassi, lui leccherebbe. Come glielo ordinassi, lui
succhierebbe. Come glielo ordinassi, lui allargherebbe le chiappe del
culo. Come glielo ordinassi, si farebbe coccolare come un orsacchiotto.
Mi poserebbe la testa sulla spalla come un bambino. Oppure si lascerebbe
posare la testa sulla spalla come da un bambino. Ci imboccheremmo di
pizza a vicenda. Ci stenderemmo sotto le coperte nel mio letto in camera
del custode ad ascoltare il vento di novembre e le campane della torre
dell’orologio del Music College e conteremmo i rintocchi delle campane
fino ad addormentarci esattamente nello stesso istante»."
Come si intuisce, non è una lettura adatta a tutti. Non l'ho trovato disturbante come "American Psycho" o "Microfiction" soltanto perché il mio innamoramento per il modo in cui scrive la Oates supera ogni altro aspetto. E perché è capace di mostrare la realtà attraverso la mente del suo personaggio, malato, ma non cattivo.

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