mercoledì 7 settembre 2022

"Donne che comprano fiori", Vanessa Montfort

 

Madrid, inizio estate. Il giardino dell'angelo è un negozio di fiori, suggestivo come la zona in cui si trova, il barrio de las Letras. Il suo punto di forza è il giardino interno, ricavato dall'antico cimitero della chiesa di San Sebastiàn.
O forse è Olivia, la proprietaria. Sulla sessantina, alta, magra, elegante, capelli color mandarino.
In quella estate definita la più calda del secolo (siamo quindi nel 2003?) diventerà il cardine per altre cinque donne - Marina, Galatea, Casandra, Aurora e Victoria - ognuna in una fase di cambiamento: una trasformazione sperata, cercata e/o subita, ma che alla fine di quell'estate le renderà diverse e più forti rispetto al giorno in cui si erano ritrovate per la prima volta sedute insieme nel giardino di Olivia.

"Ci sono donne che comprano fiori e altre no"
Io non ne compro. Sto cercando di ricordare: mi viene in mente solo un mazzo di fiori preso con Interflora per il matrimonio di un'amica romana ormai una trentina d'anni fa, ma direi che è stata l'unica volta. Di certo non ho mai comprato fiori recisi per me, o per casa, come si usa dire. Ricordo una bella pianta di margherite presa nell'estate del 1988 e molte di gerani che qualche anno dopo avevo dovuto comprare per rimpiazzare quelle che avevo fatto morire di sete scordandomi completamente della loro esistenza durante una vacanza dei miei. Poi tre piantine di primule appena sposata, che si erano afflosciate miseramente nell'arco di pochi giorni. Insomma, il pollice verde non è una mia qualità e, come mi è già capitato di scrivere, pur apprezzando l'oggettiva beltà dei fiori, non ne subisco il fascino. E probabilmente farei bene a evitare anche l'argomento fiori nei libri. Qui la loro presenza e, soprattutto, il loro presunto significato sono meno invasivi rispetto a "Il linguaggio segreto dei fiori", ma abbastanza rilevanti da farmi associare i due romanzi nonostante raccontino storie diverse. Curioso, fra l'altro, che entrambe le autrici si chiamino Vanessa.
Questa è nata a Barcellona nel 1975 e, oltre a essere scrittrice, è anche autrice teatrale, cosa che spiega il modo molto scenografico che ha di descrivere le varie ambientazioni, che si tratti del giardino o del quartiere. Scritto nel 2016 e pubblicato in Italia l'anno successivo, è un romanzo molto spagnolo che definirei esclusivamente femminile, sia perché i personaggi maschili sono quasi delle comparse, sia perché fatico a immaginare un lettore interessato a questa storia.
E' un inno all'amicizia fra donne, a quel mix di complicità e solidarietà che è davvero tanto, tanto difficile veder realizzare nella realtà.

Ma vorrebbe anche essere un inno al femminismo, un tentativo secondo me mal riuscito perché tanto è apprezzabile l'esortazione al metterci in primo piano quando un po' tutte tendiamo ad anteporre i desideri altrui ai nostri (io in realtà sono piuttosto egoista, soprattutto nei riguardi del mio tempo, ma mi ha fatto riflettere la considerazione del non avere in casa un ambiente tutto per me, cosa che invece mio marito ha), quanto poi è deludente constatare come l'autrice riconduca la felicità all'amore ("Casandra vuole quello che vogliamo tutte. Essere amata.").

Certo anch'io ritengo che la serenità di coppia (e anche qualcosa di più, magari) sia, se non fondamentale, quanto meno molto rilevante nella sfera del benessere generale di una persona, ma penso che si possa raggiungere un equilibrio più che soddisfacente anche senza dover vivere per forza una relazione. Inoltre i disagi interiori delle protagoniste hanno origine dai rapporti conflittuali con le rispettive madri, un problema che non mi ha mai sfiorata e in cui non riesco a immedesimarmi.
Ho trovato molto discutibili le riflessioni sulle donne parassita che sarebbero quelle mogli tradite che usano la pietà per trattenere il proprio marito. Marito che, quindi, viene descritto come vittima di queste mogli. Mah, ogni caso è una storia a sé, però credo che il più delle volte se una persona non tronca una relazione per un'altra sia perché alla fine sceglie quella che preferisce e tutto il resto è una scusa addotta spesso anche con se stessi.

Il modo in cui vengono trattate queste tematiche, in associazione al clan femminile che si forma e alle grandi bevute che si fanno, rendono il romanzo una sorta di Sex and The City madrileno, con protagoniste meno glamour e meno simpatiche: nessuna mi ha conquistata particolarmente e avrei apprezzato una narrazione veramente corale al posto di una Marina unica voce narrante. Di questo personaggio mi sono piaciuti solo il nome (che è quello di mia sorella), quello del defunto marito (Oscar, che era il nome di mio padre) e Capitàn (il gatto).

Nel romanzo appaiono poi camei di diversi personaggi famosi, Rosa Mantero, Kiddy Citny, ecc.
Compare anche l'autrice stessa, una mossa autocelebrativa che non mi è piaciuta.

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