Auvergne, 9 luglio di un anno recente. Amande Luzin ha appena compiuto trent'anni e da diciotto giorni è vedova: un incidente stradale ha stroncato la vita del marito, altrettanto giovane, e quella della loro bambina, che avrebbe dovuto nascere in agosto.
Come è possibile sopravvivere a un simile strazio? L'unica cosa che Amande riesce a fare è scappare dalla loro città, Lione, e affittare una casetta di sessanta metri quadri nel cuore dell'Auvergne, lontana da tutto e da tutti, chiudersi dentro e non far entrare niente e nessuno, neppure la luce.
Come è possibile sopravvivere a un simile strazio? L'unica cosa che Amande riesce a fare è scappare dalla loro città, Lione, e affittare una casetta di sessanta metri quadri nel cuore dell'Auvergne, lontana da tutto e da tutti, chiudersi dentro e non far entrare niente e nessuno, neppure la luce.
Finché la vita torna a bussare alla sua porta: prima nelle sembianze di un gatto randagio grigio e spelacchiato, che alla fine dell'estate cerca un po' di calore; poi nelle vesti della dinamica Julie Hugues, a cui non si può non aprire la porta perché quella casa era di sua madre e lei è la nuova proprietaria; infine sotto forma di carta, quella dei minuziosi diari in cui Madame Lucie annotava tutto ciò che riguardava la cura dell'orto. Un orto che era già stato un'ancora di salvezza per l'anziana donna quando aveva perso il marito e che può rivelarsi altrettanto utile anche per Amande.
E' passato poco più di un mese dalla lettura di "Tutto il blu del cielo" e il secondo romanzo (scritto nel 2020) di Melissa - mai una gioia - Da Costa ha risposto a una delle tracce di novembre.
Sinceramente non so se avrò voglia di leggere anche il terzo quando lo scriverà e la motivazione è spiegata con quello che ho scritto fra il suo nome e il suo cognome: se nell'altro romanzo conoscevamo Émile nel momento in cui scopriva di essere condannato a morte da un'impietosa malattia, apprendendo poi anche il tragico passato di Joanne, la co-protagonista, in questo l'asticella di drammaticità rimane alzata al massimo con la prematura morte di un trentaduenne, una neonata partorita morta e tutta la conseguente devastazione non solo della giovane vedova, ma anche dei genitori e del fratello di lui.
Considerando la quantità di libri esistenti e l'impossibilità di leggere tutto ciò che vorrei, preferirei evitare una terza storia così drammatica.
Certo la letteratura è piena zeppa di protagonisti ancora più sfortunati di questi, senza dimenticare romanzi e saggi che raccontano fatti realmente accaduti, con conseguente aggravio, ma le storie della Da Costa - dove il dramma viene usato con lo scopo di spingere alla rinascita - mi creano disagio e fastidio. Una sensazione latente durante la lettura di "Tutto il blu del cielo" e che questa volta è esplosa.
Forse è successo perché li ho letti a breve distanza o forse non ho digerito l'idolatria al pino sacro e i banchetti per la luna piena, ma in un modo o nell'altro tutta la positività che l'autrice cerca di trasmettere su di me ottiene il risultato opposto.
Mi piacerebbe leggere un suo romanzo beandomi dell'immersione totale nella natura che lei riesce a trasmettere e della sua capacità di descrivere zone rurali della Francia, così diverse dalla solita Parigi, ma altrettanto splendide, se non di più. Ma un romanzo dove nessuno muore e nessuno soffre.
Soprattutto non un manuale di auto-aiuto spacciato per narrativa.
E' passato poco più di un mese dalla lettura di "Tutto il blu del cielo" e il secondo romanzo (scritto nel 2020) di Melissa - mai una gioia - Da Costa ha risposto a una delle tracce di novembre.
Sinceramente non so se avrò voglia di leggere anche il terzo quando lo scriverà e la motivazione è spiegata con quello che ho scritto fra il suo nome e il suo cognome: se nell'altro romanzo conoscevamo Émile nel momento in cui scopriva di essere condannato a morte da un'impietosa malattia, apprendendo poi anche il tragico passato di Joanne, la co-protagonista, in questo l'asticella di drammaticità rimane alzata al massimo con la prematura morte di un trentaduenne, una neonata partorita morta e tutta la conseguente devastazione non solo della giovane vedova, ma anche dei genitori e del fratello di lui.
Considerando la quantità di libri esistenti e l'impossibilità di leggere tutto ciò che vorrei, preferirei evitare una terza storia così drammatica.
Certo la letteratura è piena zeppa di protagonisti ancora più sfortunati di questi, senza dimenticare romanzi e saggi che raccontano fatti realmente accaduti, con conseguente aggravio, ma le storie della Da Costa - dove il dramma viene usato con lo scopo di spingere alla rinascita - mi creano disagio e fastidio. Una sensazione latente durante la lettura di "Tutto il blu del cielo" e che questa volta è esplosa.
Forse è successo perché li ho letti a breve distanza o forse non ho digerito l'idolatria al pino sacro e i banchetti per la luna piena, ma in un modo o nell'altro tutta la positività che l'autrice cerca di trasmettere su di me ottiene il risultato opposto.
Mi piacerebbe leggere un suo romanzo beandomi dell'immersione totale nella natura che lei riesce a trasmettere e della sua capacità di descrivere zone rurali della Francia, così diverse dalla solita Parigi, ma altrettanto splendide, se non di più. Ma un romanzo dove nessuno muore e nessuno soffre.
Soprattutto non un manuale di auto-aiuto spacciato per narrativa.
Reading Challenge 2022, traccia di novembre: un libro ambientato principalmente in una casa o in un castello