Crest (dipartimento Drôme, Auvergne Rhône-Alpes), venerdì 2 maggio 2019. Il tenente Perceval Benoit vorrebbe tanto occuparsi di casi importanti, essere un investigatore e lavorare con i profiler. E invece da due ore sta pattugliando una strada boschiva dove il massimo che gli può capitare è incappare in un automobilista un po' alticcio. In effetti la macchina che ferma stava proprio procedendo come se a guidarla fosse un ubriaco, ma la donna al volante non sembra esserlo. Però sta facendo viaggiare una bambina sul sedile accanto al suo e anche questo non va bene.
E quando la piccola comincia a dire che quella donna non è sua madre, che lei e la mamma dovevano scappare perché avevano trovato il 6-6-B, che poi non l'aveva più vista e non ci crede che sia morta come le è stato detto, Benoit non può fare altro che seguire la procedura e intimare alla donna di scendere. Ma lei scappa, perdendo il controllo durante l'inseguimento. L'auto precipita in un burrone, la donna muore sul colpo, la bambina rimane gravemente ferita.
E Benoit ha il grosso caso su cui poter investigare.
Il più delle volte mi capita di leggere due o più romanzi di seguito dello stesso autore quando fanno parte di una serie, ma è una cosa che mi piace a prescindere e che vorrei fare più spesso perché mi dà un senso di continuità e poi, avendo l'abitudine di seguire l'ordine cronologico, l'evoluzione di chi scrive è più tangibile.
Con Sandrine Destombes non è successo. Il giorno stesso in cui ho terminato "I gemelli di Piolenc" ho iniziato quest'altro suo libro (sono gli unici due a essere stati tradotti in italiano), ma l'ho trovato qualitativamente inferiore rispetto al precedente.
Al di là della storia in sé - troppo esagerata e con alcuni difetti - a non convincermi è stato il meccanismo narrativo. La Destombes sfrutta un unico (banalissimo) tipo di ingranaggio che vede i gendarmi battere Crest palmo a palmo mostrando a commercianti e passanti l'immagine della persona ricercata in quel momento finché qualcuno la riconosce e fornisce il dettaglio che permette di risalire alla sua identità.
Si procede così fino al terz'ultimo capitolo dove l'intera dinamica - passato, presente e probabile futuro - viene spiegata nel corso di un interrogatorio. Interrogatorio per modo di dire perché la Destombes qui non fa neppure lo sforzo di costruire qualcosa di intrigante, con domande, risposte, reazioni, pensieri, limitandosi a un monologo piatto. Sembra quasi di leggere non un libro, ma il racconto di qualcuno che lo ha letto.
Pessimo poi che un particolare molto importante nello sviluppo della storia venga svealto ai lettori stranieri in una breve nota del traduttore: forse l'autrice non pensava che il suo libro sarebbe stato tradotto in altre lingue, ma avrebbe potuto inventarsi qualcosa che avesse un senso non solo in francese.
In definitiva la parte più interessante di questa lettura non è stata il libro, ma quello che ho trovato in rete su questo borgo medievale della Drôme, che conserva un centro storico ricco di stradine tortuose e passaggi coperti.
Il suo nome deriva dal costone roccioso che lo sovrasta e su cui si erge la torre di 52 metri (una delle più alte di Francia) immortalata anche nella copertina. In origine faceva parte di una fortezza risalente alla fondazione di Crest, nel X secolo, che nel 1633 venne fatta smantellare da Luigi XIII quando i protestanti cercarono di impadronirsene. Si salvò solo il torrione che venne poi usato come prigione fino al XIX secolo.
E quando la piccola comincia a dire che quella donna non è sua madre, che lei e la mamma dovevano scappare perché avevano trovato il 6-6-B, che poi non l'aveva più vista e non ci crede che sia morta come le è stato detto, Benoit non può fare altro che seguire la procedura e intimare alla donna di scendere. Ma lei scappa, perdendo il controllo durante l'inseguimento. L'auto precipita in un burrone, la donna muore sul colpo, la bambina rimane gravemente ferita.
E Benoit ha il grosso caso su cui poter investigare.
Il più delle volte mi capita di leggere due o più romanzi di seguito dello stesso autore quando fanno parte di una serie, ma è una cosa che mi piace a prescindere e che vorrei fare più spesso perché mi dà un senso di continuità e poi, avendo l'abitudine di seguire l'ordine cronologico, l'evoluzione di chi scrive è più tangibile.
Con Sandrine Destombes non è successo. Il giorno stesso in cui ho terminato "I gemelli di Piolenc" ho iniziato quest'altro suo libro (sono gli unici due a essere stati tradotti in italiano), ma l'ho trovato qualitativamente inferiore rispetto al precedente.
Al di là della storia in sé - troppo esagerata e con alcuni difetti - a non convincermi è stato il meccanismo narrativo. La Destombes sfrutta un unico (banalissimo) tipo di ingranaggio che vede i gendarmi battere Crest palmo a palmo mostrando a commercianti e passanti l'immagine della persona ricercata in quel momento finché qualcuno la riconosce e fornisce il dettaglio che permette di risalire alla sua identità.
Si procede così fino al terz'ultimo capitolo dove l'intera dinamica - passato, presente e probabile futuro - viene spiegata nel corso di un interrogatorio. Interrogatorio per modo di dire perché la Destombes qui non fa neppure lo sforzo di costruire qualcosa di intrigante, con domande, risposte, reazioni, pensieri, limitandosi a un monologo piatto. Sembra quasi di leggere non un libro, ma il racconto di qualcuno che lo ha letto.
Pessimo poi che un particolare molto importante nello sviluppo della storia venga svealto ai lettori stranieri in una breve nota del traduttore: forse l'autrice non pensava che il suo libro sarebbe stato tradotto in altre lingue, ma avrebbe potuto inventarsi qualcosa che avesse un senso non solo in francese.
In definitiva la parte più interessante di questa lettura non è stata il libro, ma quello che ho trovato in rete su questo borgo medievale della Drôme, che conserva un centro storico ricco di stradine tortuose e passaggi coperti.
Il suo nome deriva dal costone roccioso che lo sovrasta e su cui si erge la torre di 52 metri (una delle più alte di Francia) immortalata anche nella copertina. In origine faceva parte di una fortezza risalente alla fondazione di Crest, nel X secolo, che nel 1633 venne fatta smantellare da Luigi XIII quando i protestanti cercarono di impadronirsene. Si salvò solo il torrione che venne poi usato come prigione fino al XIX secolo.
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