"Siamo genovesi.
Abbiamo un detto per descriverci, tanto per mettere in chiaro quanto ci preme ingraziarci gli altri:
“Sun zeneise, riso reo, strinsu i denti e parlo cheo”.
Son genovese, riso raro, stringo i denti e parlo chiaro.
Come dire: non me ne frega niente di essere simpatico, non ho grandi motivi per ridere, tengo la testa bassa, mi occupo degli affari miei e se c’è qualcosa da dire la sintetizzo nel minor numero di parole possibili.
Tu vedi di capirla al volo.
Ti va bene, perfetto.
Non ti va bene, uguale."
“Sun zeneise, riso reo, strinsu i denti e parlo cheo”.
Son genovese, riso raro, stringo i denti e parlo chiaro.
Come dire: non me ne frega niente di essere simpatico, non ho grandi motivi per ridere, tengo la testa bassa, mi occupo degli affari miei e se c’è qualcosa da dire la sintetizzo nel minor numero di parole possibili.
Tu vedi di capirla al volo.
Ti va bene, perfetto.
Non ti va bene, uguale."
Genova, dicembre 2010. Margot Martini deve il suo nome alla nonna francese, ma è l'unica cosa in lei a non essere genovese. Ha 38 anni, un gatto di 15 (Diesel) e da tre un fidanzato che si chiama Mario (ma che lei chiama Tormento) con cui ha uno di quei rapporti del tipo "facciamo finta che vada tutto bene". Dopo dieci anni da freelance è riuscita a ritagliarsi un suo spazio nella redazione del quotidiano locale occupandosi delle pagine di cultura e società.
Caterina Bonardi di anni ne ha qualcuno in più, 83, e dal dopoguerra gestisce la ricevitoria del lotto numero 3 in salita Santa Caterina. Come tanti commercianti delle generazioni passate sembra intenzionata a morirci dentro al suo negozietto ed è proprio quello che rischia di succedere quando una sera di fine anno un uomo fa irruzione nel suo bugigattolo e le intima di consegnargli l'incasso, colpendola alla testa perché infastidito dalla sua lentezza e lasciandola a terra priva di sensi.
La strada delle due donne si era incrociata solo poche ore prima di quell'episodio. Margot per un articolo aveva bisogno di dettagli sul gioco del lotto - nato proprio a Genova nel Cinquecento (e non a Napoli, come comunemente si pensa) - e Caterina glieli aveva forniti tutti. E adesso forse è lei che può dare qualcosa a questa donna che le ricorda un po' sua nonna.
La vera Caterina Bonardi, morta a 103 anni, non aveva nulla in comune con il personaggio di fantasia del romanzo, ma era il nome della nonna dell'autrice, particolare molto tenero che viene raccontato nei ringraziamenti.
E tenero è un aggettivo che userei per descrivere questo libro, di tutt'altro livello rispetto al romanzo di esordio della Fiorio ("Chanel non fa scarpette di cristallo") che avevo finito un paio di mesi fa definendolo "una belinata di libro": ecco perché ha un senso leggerli in ordine cronologico, per poter apprezzare i miglioramenti di chi scrive.
A differenza di quella favoletta, qui ci sono sia una buona costruzione dei personaggi, sia una bella trama, anche un po' gialla, con un finale dolce amaro che ho apprezzato molto: mi aspettavo qualcosa di banale e scontato, invece la Fiorio ha avuto il coraggio di essere realista, perché nella vita bisogna spesso accontentarsi.
Una lettura piacevole per chiudere l'anno e che l'inizio del libro fosse ambientato proprio in questi giorni è stata per me una piacevole sorpresa: l'avrei apprezzato anche leggendolo a luglio, ma mi piace quando una data coincide con quella del calendario.
E una lettura leggera, ma fino a un certo punto perché affronta temi che di leggero non hanno proprio nulla: non solo la solitudine delle persone anziane (che con il personaggio di Caterina diventa il tema portante), ma anche l'ipocrisia dei razzisti ("Non era una notizia da prima pagina, l’aggressore non ha avuto la decenza di essere extracomunitario o almeno musulmano, per cui niente polverone da alzare alimentando convenientemente i sentimenti di discriminazione di politici e cittadini. Sfiga vuole che il bastardo fosse un giovane italiano e a nessuno verrebbe mai in mente di intitolare un pezzo Italiano deruba e aggredisce una vecchietta. Non praticante ma battezzato secondo rito cattolico."), l'ignoranza e l'egoismo sociale ("Mi aggiro tra gente dallo sguardo agguerrito e polemico, nessuno ama trascorrere il proprio tempo al pronto soccorso e nessuno si sofferma a pensare che il suo attendere è inversamente proporzionale alla gravità del suo problema. Chissà se preferirebbero avere un codice rosso per eludere l’attesa."), il G8 di Genova ("Ero in piazza Paolo da Novi il 20 luglio 2001, mi ci è voluto più di un anno per smettere di avere paura delle persone in divisa.") e una critica acuta e pungente alla "Genova bene".
Di Genova ce n'è tanta in queste 199 pagine e non solo per la focaccia pucciata nel cappuccino esaltata anche da Malavasi: Margot è molto genovese e se la Fiorio si è ispirata a sua nonna per disegnare il personaggio di Caterina, mi piace pensare che abbia messo molto di sé in quello della sua protagonista. Noi siamo fatti così e ci piace.
"Be’, non abbiamo conquistato il mondo a barzellette, va detto. Abbiamo i comici più incazzati del Paese e anche i nostri migliori cantautori, se non si sono suicidati, sono comunque tristanzuoli.
In sostanza non siamo propriamente l’anima della festa e gli ultimi che ci hanno dato fastidio hanno riempito qualche pagina sui libri di storia."
Reading Challenge 2022, traccia dell'avvento di dicembre: un libro con in copertina persone con abiti invernali