giovedì 13 febbraio 2020

"Il bar dei cani", Graziano Cutrona


Genova, anni ‘80. Bruno ha dieci anni e vive a San Fruttuoso, da non confondersi con l’omonima baia nel golfo del Tigullio: San Fruttuoso è “solo” un quartiere medio-grande che fa da cuscinetto fra il centro città e la Valbisagno. E’ nella piazza principale che sorge il bar dei cani, che in realtà ha un altro nome, ma che tutti chiamano così perché Pino, il carismatico proprietario, di cani ne ha tre e passano le giornate al bar con lui. Anche Bruno trascorre lì tanto tempo, con il padre, ma anche da solo, perché quelli erano tempi in cui le chiavi di casa erano una conquista per i ragazzi grandi e potevi dire a tuo figlio di aspettarti al bar (o all’edicola) sotto casa in tutta tranquillità…

Graziano Cutrona, autore televisivo di trasmissioni di livello (sono ironica!!) come Colorado, L’isola dei famosi, X- Factor, Temptation Island, ecc, è genovese, come me, sampdoriano, come me, ed è nato e cresciuto in un quartiere popolare, come me. Classe 1974, è un po’ più giovane di me, che sono del ‘69, mentre Bruno, il suo protagonista, è mio coetaneo.

Non potevo quindi non ritrovarmi in questo librino. Un librino in tutti i sensi: un cartaceo mini formato 10,5 x 15,5 di poche pagine (136), ma anche un po’ povero di stile e di contenuti. Pochi concetti che si ripetono, la descrizione delle giornate (più che altro dei pomeriggi) di questo ragazzino trascorse in mezzo ai grandi al bar, con in più l’inserimento del particolare “thriller” - un uomo sfigurato dal fuoco che passa le sue giornate al tavolino bevendo birra allungata con la gassosa continuando a fare e disfare il cubo di Rubik - con uno sviluppo che regala alla storia una bella morale.

Un librino decisamente nostalgico che, nonostante il suo essere terra terra, mi ha fatto commuovere a più riprese. San Fruttuoso non è il mio quartiere di origine (Sampierdarena nel cuore) e da ragazzina non frequentavo il bar sotto casa (anche se avrei almeno un divertente aneddoto da raccontare in proposito), già allora ero più tipo da edicola (ahimè…)! Ma in questo spaccato di vita genovese e proletaria degli anni ‘80 ci ho ritrovato tutti i miei ricordi dell’epoca. Quelli di una famiglia dove entrava un solo stipendio che veniva gestito dalla moglie e mamma, dove si aveva una sola auto che durava per 15 anni e che veniva usata solo al sabato e alla domenica, dove si aveva solo un televisore (senza telecomando), dove il divano restava incellophanato per anni (perché era nuovo), dove i genitori mettevano il lucchetto al telefono appena i figli crescevano e con l'età crescevano i fidanzatini da chiamare, dove non esisteva lo shopping e le scarpe si compravano solo se e quando servivano.

Un librino che riesce ad essere anche guida turistica, che racconta la Genova orgogliosa della seconda Guerra Mondiale, ma anche la Genova tifosa, perché il calcio qui unisce e divide come neppure politica e religione riescono a fare e il derby non si riduce a due partite da 90 minuti, ma dura per 525.600, cioè tutto l’anno (il conto lo ha fatto Cutrona).

un librino che prova anche a spiegare il perché della nostra antipatia per i foresti, la nostra inospitalità…

"ll carattere dei genovesi è chiuso come i vicoli della città, lo sconosciuto è sempre stato affrontato come un nemico, con manifesta diffidenza e con lo sguardo duro. E’ Genova stessa, con il suo dedalo di caruggi, ad apparire ostile allo straniero, ma se sei genovese ti abbraccia come una mamma. Ti protegge.

Cutrona doveva vendere, ok, ma la verità è una sola...


Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia a cascata di febbraio "un libro che ti hanno regalato a Natale"