lunedì 24 febbraio 2020

"Un marito", Michele Vaccari


Marassi, quartiere di Genova, giorni nostri. Ferdinando a Marassi c’è nato, ci è cresciuto, poi se n’è andato e quindi c’è tornato, insieme a Patrizia, che invece è di Busalla. Lei ha 46 anni, lui sta per compierne 50. Un matrimonio vissuto in simbiosi, condividendo anche la professione. Una rosticceria nel cuore del quartiere, famosa per la cucina esclusivamente ligure. Un negozio che non ha mai chiuso per ferie. E lei cerca di opporsi anche quando lui le chiede una vacanza per il suo prossimo, importante compleanno: alla fine riesce a spuntarla, tre giorni a Milano per il ponte dell’Immacolata. Partono insieme, ma sarà solo Ferdinando a tornare a Genova…

Nonostante il libro sia ambientato nella mia città e opera di un concittadino, lo avevo scoperto e inserito in wish list solo dopo aver sentito Marco Cantoni osannarlo come uno dei migliori libri del 2019. Marco è un giovane booktuber davvero molto bravo e competente, è un piacere ascoltarlo. Ma questo libro è la quinta conferma del fatto che io e lui abbiamo gusti completamente diversi, non solo per quanto riguarda i generi, ma soprattutto per lo stile narrativo. Mi rassegno all’evidenza, non avendo la sua preparazione e cultura, non sono interessata a romanzi che ai miei occhi sono esercizi di stile: naturalmente apprezzo un libro ben scritto, ma prediligo quelli scritti bene con semplicità.

Vaccari scrive indiscutibilmente bene e ci tiene a dimostrarlo finendo con l’eccedere. Uno stile ridondante che penalizza la trama, anche a causa di dialoghi e situazioni improbabili, con descrizioni inutilmente interminabili che danno vita a periodi lunghissimi, sfiancanti. Amo i periodi lunghi, ma quando si dilungano per sei schermate di Kindle impostato su misura 8, esprimendo in decine di formule diverse un unico concetto per il quale basterebbe una frase breve, sbotto in un sacrosanto: “E che palle, ma taglia un po’”, cosa che ho fatto più volte leggendo il libro, senza contare che frasi come: “Si lascia risucchiare dalla terra, una sepoltura nel duodeno del pianeta” su di me non hanno presa e mi fanno solo provare antipatia per chi le ha scritte. Limite mio? Esagerazione sua? Diciamo entrambe le cose…

Da genovese ho apprezzato molto solo la prima parte dove Vaccari manifesta tutto il suo amore e il suo attaccamento a Marassi facendone il vero protagonista, ma dandone anche un’immagine impietosa che sinceramente non condivido.
Seppur non sia il mio quartiere, mi sono sentita a casa leggendo i tanti nomi di vie e piazze che conosco bene e tutte quelle parole dialettali (per le quali mi aspettavo, e invece manca, un mini dizionario alla fine, perché non credo sia scontato capire che la persa è la maggiorana e il grilletto non ha a che fare con le armi, ma è una semplice terrina) mi hanno scaldato il cuore.
Ancora di più ritrovare quel senso di appartenenza alla città che ti fa venire il “magone” appena ti allontani, anche quando sei contento perché stai andando in vacanza o a fare qualcosa che ti piace, ma non c'è niente da fare, se sei genovese appena volti le spalle alla Lanterna ti sembra davvero di aver offeso Genova e già ti manca.

"Odiava con tutto se stesso quelle che si chiamavano ‘rosticcerie cinesi’ e non poteva tollerare neanche quel ‘pizza al trancio’ in cui le focacce erano talmente alte e chimicamente lievitate che, ogni volta che ne sfornavano una, da qualche parte nel mondo un genovese moriva”

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia a cascata di febbraio, lo collego a "Il bar dei cani" perchè in entrambi viene citata la mia Samp