Marassi,
quartiere di Genova, giorni nostri. Ferdinando a Marassi c’è nato,
ci è cresciuto, poi se n’è andato e quindi c’è tornato,
insieme a Patrizia, che invece è di Busalla. Lei ha 46 anni, lui sta
per compierne 50. Un matrimonio vissuto in simbiosi, condividendo
anche la professione. Una rosticceria nel cuore del quartiere, famosa
per la cucina esclusivamente ligure. Un negozio che non ha mai chiuso
per ferie. E lei cerca di opporsi anche quando lui le chiede una vacanza
per il suo prossimo, importante compleanno: alla fine riesce a
spuntarla, tre giorni a Milano per il ponte dell’Immacolata.
Partono insieme, ma sarà solo Ferdinando a tornare a Genova…
Nonostante
il libro sia ambientato nella mia città e opera di un concittadino,
lo avevo scoperto e inserito in wish list solo dopo aver sentito Marco Cantoni osannarlo come uno dei migliori libri del 2019. Marco è
un giovane booktuber davvero molto bravo e competente, è un
piacere ascoltarlo. Ma questo libro è la quinta conferma del fatto
che io e lui abbiamo gusti completamente diversi, non solo per quanto
riguarda i generi, ma soprattutto per lo stile narrativo. Mi rassegno
all’evidenza, non avendo la sua preparazione e cultura, non sono
interessata a romanzi che ai miei occhi sono esercizi di stile:
naturalmente apprezzo un libro ben scritto, ma prediligo quelli
scritti bene con semplicità.
Vaccari
scrive indiscutibilmente bene e ci tiene a dimostrarlo finendo con
l’eccedere. Uno stile ridondante che penalizza la
trama, anche a causa di dialoghi e situazioni improbabili, con
descrizioni inutilmente interminabili che danno vita a periodi
lunghissimi, sfiancanti. Amo i periodi lunghi, ma quando si
dilungano per sei schermate di Kindle impostato su misura 8,
esprimendo in decine di formule diverse un unico concetto per il
quale basterebbe una frase breve, sbotto in un sacrosanto: “E che
palle, ma taglia un po’”, cosa che ho fatto più volte leggendo il
libro, senza contare che frasi come: “Si lascia risucchiare dalla
terra, una sepoltura nel duodeno del pianeta” su di me non hanno
presa e mi fanno solo provare antipatia per chi le ha scritte. Limite
mio? Esagerazione sua? Diciamo entrambe le cose…
Da
genovese ho apprezzato molto solo la prima parte dove Vaccari
manifesta tutto il suo amore e il suo attaccamento a Marassi
facendone il vero protagonista, ma dandone anche un’immagine impietosa
che sinceramente non condivido.
Seppur
non sia il mio quartiere, mi sono sentita a casa leggendo i tanti
nomi di vie e piazze che conosco bene e tutte quelle parole
dialettali (per le quali mi aspettavo, e invece manca, un mini
dizionario alla fine, perché non credo sia scontato capire che la persa è la maggiorana e il grilletto non ha a che fare
con le armi, ma è una semplice terrina) mi hanno scaldato il cuore.
Ancora di più ritrovare quel senso di appartenenza alla città che ti fa venire
il “magone” appena ti allontani, anche quando sei contento perché
stai andando in vacanza o a fare qualcosa che ti piace, ma non c'è niente da fare, se sei genovese appena volti le spalle alla Lanterna ti sembra davvero di aver offeso Genova e già ti manca.
"Odiava
con tutto se stesso quelle che si chiamavano ‘rosticcerie cinesi’
e non poteva tollerare neanche quel ‘pizza al trancio’ in cui le
focacce erano talmente alte e chimicamente lievitate che, ogni volta
che ne sfornavano una, da qualche parte nel mondo un genovese moriva”
Reading
Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia a cascata di
febbraio, lo collego a "Il bar dei cani" perchè in
entrambi viene citata la mia Samp