domenica 16 febbraio 2020

"Kafka sulla spiaggia", Haruki Murakami


Tokyo, giorni nostri. Tamura Kafka è un ragazzino serio quanto solitario, la madre lo ha abbandonato quando aveva appena quattro anni, portando con sé soltanto la figlia femmina. Il ragazzo, interagendo con “il ragazzo chiamato corvo”, suo amico immaginario, il giorno del suo quindicesimo compleanno mette in pratica la fuga che stava pianificando da tempo. Scappa dal padre, scultore diabolico e genitore assente, e dalla sua profezia: "Ucciderai tuo padre e giacerai con tua madre e tua sorella".
Non avendo un posto dove andare, sceglie una direzione a caso che risponda a un unico requisito: essere un luogo dove fa sempre caldo, in modo da poter ridurre al minimo il bagaglio. E questo lo porterà a 700 km da Tokyo, a Takamatsu.
Anche Nakata vive a Tokyo, ha superato la sessantina e si mantiene grazie al sussidio statale. Durante la seconda guerra mondiale, quando era solo un bambino, è stato vittima di un incidente mai spiegato che gli ha causato un serio ritardo mentale. Nakata è diventato “stupido”, come continua a definirsi, non sa leggere, non sa scrivere, non capisce tante cose, ad esempio cosa siano i ricordi, però riesce a parlare con i gatti. E sarà questo che lo porterà a commettere un omicidio. Il poliziotto di turno in questura non crederà alla sua assurda confessione e a quel punto anche Nakata lascerà la città, non per scappare, ma perché sente di avere una missione da portare a termine, anche se non sa di cosa si tratti né dove debba andare…

Era inevitabile che prima o poi, continuando a leggerlo, finissi per imbattermi anche nel Murakami onirico e, con mia enorme, gigantesca sorpresa, non mi è dispiaciuto affatto!

In questo libro vi è tutto ciò che normalmente non sopporto: una trama bislacca di cui posso dire di aver capito ben pochi punti perché succedono tante cose assurde a cui l’autore non prova nemmeno a dare un senso “logico”, seppur irreale; l’essere descrittivo in maniera maniacale; l’essere lento, a tratti lentissimo; l’essere, in generale, molto lontano dalla mia realtà (e meno male).

Mi è stato prezioso il consiglio di un amico: "Leggilo senza cercare di capirlo". E ha funzionato, anche grazie al modo di scrivere di Murakami che, oltre ad essere meraviglioso, ha il potere di rilassarmi (ma questo anche i pochi altri autori giapponesi che ho letto) e (incredibile che qualcosa ci riesca) calmarmi.
 
E’ indubbiamente uno dei libri più complessi che abbia mai letto, non solo perché manca di spiegazioni (quello che viene raccontato va accettato è basta, e questo sono riuscita a farlo, nonostante io sia quella che deve sempre trovare un senso, non solo nei libri), ma per i tantissimi richiami culturali, per di più a temi di cui non so nulla, dalla filosofia alla musica classica, dall’arte alle religioni nipponiche.

Non sono nemmeno sicura di aver colto il messaggio di Murakami, forse qualcosa legato al fatto che abbiamo tutti un destino segnato e che è inutile resistere perché finiremo comunque dov’è già previsto che finiremo, altra cosa che opposta alla mia ferrea convinzione che l’uomo ha il totale libero arbitrio sulle sue azioni e relative conseguenze.

Comunque sia, pur mantenendo la mia mente sigillata nei confronti del mistico, sono felice di aver affrontato il “realismo magico” di Murakami e di esserne uscita arricchita (e anche divertita): grazie Paolo!

"Ma se ci penso bene, probabilmente la creatura più pericolosa di tutta la foresta sono proprio io
(Tamura Kafka)

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia autore di febbraio