Tokyo,
giorni nostri. Tamura Kafka è
un ragazzino serio quanto solitario, la
madre lo ha
abbandonato
quando aveva appena quattro anni, portando
con sé soltanto la figlia femmina.
Il
ragazzo, interagendo
con “il ragazzo chiamato corvo”, suo amico immaginario, il giorno
del suo quindicesimo compleanno mette in pratica la fuga che stava
pianificando da tempo. Scappa dal padre, scultore diabolico e
genitore assente, e
dalla sua profezia:
"Ucciderai tuo padre e giacerai con tua madre e tua sorella".
Non
avendo un posto dove andare, sceglie una direzione a caso che
risponda a un unico requisito: essere un luogo dove fa sempre caldo,
in modo da poter ridurre al minimo il bagaglio. E questo lo porterà
a
700 km da Tokyo, a
Takamatsu.
Anche
Nakata vive a Tokyo, ha superato la sessantina e si mantiene grazie al
sussidio statale. Durante
la seconda guerra mondiale, quando era solo un bambino, è stato
vittima di un incidente mai spiegato che gli ha causato un serio
ritardo mentale. Nakata è diventato “stupido”, come continua a
definirsi, non sa leggere, non sa scrivere, non capisce tante cose,
ad esempio cosa siano i ricordi, però riesce a parlare con i gatti.
E sarà questo che lo porterà a commettere un omicidio. Il
poliziotto di turno in questura non crederà alla sua assurda
confessione e a quel punto anche Nakata lascerà la città, non per
scappare, ma perché sente di avere una missione da portare a
termine, anche se non sa di cosa si tratti né dove debba andare…
Era
inevitabile che prima o poi, continuando a leggerlo, finissi per
imbattermi anche nel Murakami onirico e, con mia enorme, gigantesca
sorpresa, non
mi è dispiaciuto
affatto!
In
questo libro vi è tutto ciò che normalmente non sopporto: una
trama bislacca di cui posso dire di aver capito ben pochi
punti perché succedono tante cose assurde a cui l’autore non prova
nemmeno a dare un senso “logico”, seppur irreale; l’essere
descrittivo in maniera maniacale; l’essere
lento, a tratti lentissimo; l’essere, in generale, molto lontano
dalla mia realtà (e meno male).
Mi
è stato prezioso il consiglio di un amico: "Leggilo senza cercare di
capirlo". E ha funzionato, anche grazie al modo di scrivere di Murakami che,
oltre ad essere meraviglioso, ha il potere di rilassarmi (ma questo
anche i pochi altri autori giapponesi che ho letto) e (incredibile
che qualcosa ci riesca) calmarmi.
E’
indubbiamente uno dei libri più complessi che abbia mai letto, non
solo perché manca di spiegazioni (quello che viene raccontato va
accettato è basta, e questo sono riuscita a farlo, nonostante io sia
quella che deve sempre trovare un senso, non solo nei libri), ma per
i tantissimi richiami culturali, per di più a temi di cui non so
nulla, dalla filosofia alla musica classica,
dall’arte alle religioni nipponiche.
Non
sono nemmeno sicura di aver colto il messaggio di Murakami, forse
qualcosa legato al fatto che abbiamo tutti un destino segnato e che è
inutile resistere perché finiremo comunque dov’è già previsto
che finiremo, altra cosa che opposta alla mia ferrea convinzione che l’uomo ha il totale libero arbitrio
sulle sue azioni e relative conseguenze.
Comunque
sia, pur mantenendo la mia mente sigillata nei confronti del mistico,
sono felice di aver affrontato il “realismo magico” di Murakami e
di esserne uscita arricchita (e anche divertita): grazie Paolo!
"Ma
se ci penso bene, probabilmente la creatura più pericolosa di tutta
la foresta sono proprio io”
(Tamura Kafka)
Reading
Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia autore di
febbraio