mercoledì 26 febbraio 2020

"Il tatutatore di Auschwitz", Heather Morris


32407 e 34902: non sono due semplici numeri, ma due identità. Sono ciò che Lale e Gita, ebrei slovacchi, sono diventati entrando ad Auschwitz. Entrambi furono deportati in Polonia, nel campo di sterminio nazista, nell’aprile del ‘42. Lui ricopriva il ruolo di Tätowierer, lei fu obbligata a porgergli il braccio. I loro sguardi si incrociarono e lì nacque un legame più forte di ogni cosa, anche dell’odio.

Quando Alessandra Mussolini si permette di accusare Liliana Segre di fomentare l’odio contro il fascismo, si ricomincia ad avere paura e a rendersi conto che i 75 anni trascorsi dalla fine della seconda Guerra Mondiale, se non si fa attenzione, possono cominciare a creare una patina su quel che è stato. E quindi ben vengano romanzi come questo, capaci comunque di non far dimenticare ciò che è successo.

Però…

Però io questo libro, tanto amato “da tutti”, non sono proprio riuscita a digerirlo. Perchè è sufficiente aver parlato con uno dei sopravvissuti per sapere che la vita (si fa per dire) nei campi di concentramento era ben diversa da quella che viene descritta dalla Morris. Mi rendo conto che Lale, parlando correttamente sei lingue, avesse agli occhi dei nazisti un valore ben diverso rispetto ai prigionieri politici italiani con cui ho parlato io, ma mentre leggevo troppi dettagli non mi tornavano. E a fine lettura – per capire se ero la solita disfattista - ho scoperto che l’Auschwitz Museum (qui il documento) ha smentito l’autrice, svelando falsità e inesattezze del libro. E la Morris si è “difesa” dicendo che “è stato lo stesso Lale a raccontare la sua storia”.
Ma lui è morto nel 2006, prima dell’uscita del libro.

"Lale è quasi completamente immune alle dispute del campo. (…) è lontano dalle difficoltà di migliaia di uomini che muoiono di fame e devono lavorare per combattere allo stesso tempo. Si rende conto di essersi creato uno stile di vita più comodo rispetto alle condizioni della maggioranza

Maggioranza che si traduce in:

- 7 milioni circa di civili sovietici
- 6 milioni circa di ebrei
- 3 milioni circa di prigionieri di guerra sovietici
- 1,8 circa di civili polacchi
- 312.00 circa di civili serbi
- 250.000 circa di persone disabili
- 250.000 circa di Rom
- 70.000 circa criminali a vario titolo
- 1.900 circa testimoni di Geova
- un numero imprecisato di oppositori al nazismo
- un numero imprecisato di omosessuali

Un libro che aiuta la Memoria è quello di Tatiana de Rosnay che, ne “La chiave di Sarah”, parte da un fatto realmente accaduto come il Véledrome d'Hiver e da lì costruisce una storia meravigliosa e toccante che non ha bisogno di essere una storia vera per denunciare i crimini nazisti.

O un qualunque altro libro (meglio se di saggistica) dove ai deportati venga risparmiato l’appellativo di “inquilini del campo”.

Se il fascismo e il nazismo hanno colpito da vicino, “Il tatuatore di Auschwitz” diventa una mancanza di rispetto.

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia artista di febbraio