venerdì 16 agosto 2024

"Uccidi i tuoi amici", John Niven

 

Londra, 1997. Steven Stelfox a soli 27 anni ha già raggiunto un buon livello nella gerarchia di una delle più importanti etichette discografiche inglesi e, quindi, mondiali. Il suo compito è quello di scoprire nuovi talenti musicali, capire chi può piacere e chi no, chi può sfondare e chi no, soprattutto chi è vendibile e chi no. Sommersi da demo di aspiranti band e solisti, agli scouting come lui basta fare centro una volta ogni tanto, rientrare delle spese per poi far guadagnare all'etichetta (e a se stessi) il più possibile, cercando di non inanellare troppi fiaschi in attesa del botto successivo.
E l'unico modo per sopravvivere in un mondo dove impera l'antagonismo è non farsi scrupoli, nemmeno (o soprattutto) nei confronti degli "amici".

"A volte ritorno" e "Le solite sospette" sono nella mia wish list da quando i due romanzi sono stati tradotti in italiano, rispettivamente nel 2012 e nel 2015. A ritardare il mio approccio con l'autore è stata la mia fissazione di cercare di leggere i libri in ordine cronologico e l'aver sentito paragonare "Uccidi i tuoi amici", la sua opera prima, ad "American Psycho" - lettura fatta in gioventù e che solo quattro anni fa è stata scalzata (dalla raccolta di racconti di Jauffret, "Microfictions") dal podio del libro più disturbante che abbia mai letto - aveva creato un muro fra me e Niven.

Un confronto che ora posso dire di ritenere esagerato, ma non di molto. Qui non vengono introdotti topi nella vagina di nessuna donna, ma Stelfox è un altro "bel" personaggio deviato al pari di Bateman. Un uomo che si dà un'importanza smisurata e che in realtà è un poveretto succube di svariate dipendenze, 
irriverente nei confronti di tutti, soprattutto delle donne, e spietatamente razzista, non solo nei confronti delle persone di colore ("zulù disadattati"). Non risparmia nessuno, neppure irlandesi ("inutili pezzenti") e scozzesi ("sfigati" e "merdosi"). 

E il fatto che Niven sia scozzese ha per fortuna dirottato il mio nervosismo dall'autore al suo personaggio, che ho odiato profondamente. Un deficiente che parla al suo pene:

"Ciccino, – penso, avvolgendo la cappella radioattiva in una carezza dolce e affettuosa, – come posso tenerti il broncio?"
Il romanzo - che non eguaglia Bret Easton Ellis nello splatter, ma che lo supera in scurrilità - racconta il 1997 di Stelfox in dodici capitoli titolati con i mesi dell'anno. Chiaramente c'è tantissima musica. Com'era prevedibile, nomina una quantità esorbitante di cantanti, gruppi musicali e canzoni. Ne conoscevo davvero pochi, Lennon, Bowie, le Spice Girl. Mi piacerebbe sapere se Niven si è beccato qualche querela...

"Le Spice? Quanta fame hanno quelle maiale? Avete presente le band indie che si lamentano di doversi alzare prima di pranzo una volta ogni tre mesi per comparire in un programma mattutino? Per un quarto d’ora di celebrità vi garantisco che Geri Halliwell si sarebbe alzata all’alba ogni mattina per un anno e avrebbe nuotato nuda in un fiume di sperma sieropositivo e infestato di squali – tagliando la gola a bambini, a pensionati e a malati di tumore per lasciarseli alle spalle – anche solo per un’intervista di sessanta secondi a un tg regionale."
Ma una bella sorpresa c'è stata: pensavo che il titolo fosse umoristico, invece avvengono davvero dei crimini e la parte gialla mi ha coinvolta. Purtroppo è marginale in mezzo alla visione contorta del mondo che ha questo lurido personaggio, ma sufficiente a farmi sopportare i suoi eccessi e le sue perversioni per arrivare a pagina 352 e scoprire come sarebbe andata a finire.

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