Siglufjörður
(Islanda),
novembre 2008. Ari Þór ha 25 anni e dopo aver studiato, e
abbandonato, prima filosofia e poi teologia, ha frequentato
l’Accademia di polizia accettando subito dopo un’offerta di
lavoro nella piccola cittadina all’estremo nord dell’Islanda, un
villaggio di pescatori collegato al resto del Paese da un’unica
strada e sempre più attanagliato dalla neve e dal gelo man mano che
l’inverno si avvicina.
La
vita nella piccola comunità di appena 1.200 abitanti scorre
tranquilla, un agente di polizia da quelle parti ha ben poche cose di
cui occuparsi. Anche
quando un anziano scrittore - il celebre autore di “A nord delle
colline”, il romanzo islandese più venduto nel mondo - muore
cadendo da una scala all’interno del teatro locale, il capo di
Ari Þór non
si scompone, sicuro che si sia trattato di un incidente e non dando credito ai
sospetti del ragazzo.
Ma quando pochi giorni dopo Linda, la moglie
del protagonista del dramma teatrale prossimo al debutto, viene
trovata seminuda e in fin di vita nel
giardino innevato della sua abitazione,
sarà evidente a tutti che a
Siglufjörður non
regna più la pace…
Nonostante
i tantissimi titoli tradotti in italiano negli ultimi anni, questo è
il primo giallo nordico che leggo e l’inizio non poteva essere
migliore. Mi ero sempre tenuta alla larga dal genere perché
immaginavo storie cupe e soprattutto molto lente: non
che questa storia faccia
immaginare di essere al
carnevale di Rio, ma mi è piaciuta davvero tanto.
Lo
stile è scorrevole e incalzante dove serve che lo sia, i personaggi
sono
variegati
e ben descritti, il giallo è
articolato
e ben sviluppato: una
lettura tutt’altro
che
noiosa.
Ma
forse
l’aspetto che mi ha colpita di più è l’ambientazione: l’autore
riesce a far sentire tutto il senso di isolamento dato dalla
collocazione di questa striscina di terra stretta fra i monti e il
mare (inevitabile per me fare un parallelo con la mia Liguria,
soprattutto adesso che tutte le strade che la attraversano
sembrano essere
pericolanti…),
accentuato dai rigori di inverni che per fortuna noi possiamo solo
immaginare!
Due
parole su Siglufjörður: nel
libro si fa spesso riferimento al
boom delle aringhe e ai bei tempi, prima che le aringhe sparissero
dal mare, senza però mai entrare nel dettaglio. La spiegazione l’ho
trovata in rete ed è atroce:
negli
anni ‘40 e ‘50, su spinta danese, l’Islanda mise in opera un
progetto
per la pesca e la lavorazione delle aringhe, sfruttando le riserve
ittiche al punto da causare la sparizione di quei pesci dal loro
mare. In cambio di pochissimi decenni di questo fiorente mercato, che
- come sempre succede - arricchì solo gli islandesi già ricchi, la
pesca incontrollata svuotò letteralmente il Mare del Nord.
E’
un
qualcosa che il mio cervello non riesce neppure a concepire: il mare
è così immenso che non riesco a capire come a questi poveri pesci
non sia stata lasciata neppure una via di fuga alla mattanza.
E
l’uomo non impara mai dagli errori, o meglio, finge di non imparare
per questioni di gola e di denaro.
Un
esempio a tema? La pesca a strascico: il danno che creano questi tipi
di reti è noto a chiunque, ma il massimo che si è riuscito a
ottenere (e solo in alcuni Paesi) è il divieto di effettuarla
sottocosta! Divieti sistematicamente ignorati da quelli che
dovrebbero avere maggior interesse a salvaguardare ciò che determina
il loro futuro economico.
Se
non avessi così a cuore l’ambiente e gli animali, potrei godere
dell’ignoranza di questi soggetti.
Reading
Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di dicembre. Lo
collego a "Le otto montagne" perchè entrambi gli autori
sono uomini