lunedì 30 dicembre 2019

"L'angelo di neve", Ragnar Jonasson


Siglufjörður (Islanda), novembre 2008. Ari Þór ha 25 anni e dopo aver studiato, e abbandonato, prima filosofia e poi teologia, ha frequentato l’Accademia di polizia accettando subito dopo un’offerta di lavoro nella piccola cittadina all’estremo nord dell’Islanda, un villaggio di pescatori collegato al resto del Paese da un’unica strada e sempre più attanagliato dalla neve e dal gelo man mano che l’inverno si avvicina.
La vita nella piccola comunità di appena 1.200 abitanti scorre tranquilla, un agente di polizia da quelle parti ha ben poche cose di cui occuparsi. Anche quando un anziano scrittore - il celebre autore di “A nord delle colline”, il romanzo islandese più venduto nel mondo - muore cadendo da una scala all’interno del teatro locale, il capo di Ari Þór non si scompone, sicuro che si sia trattato di un incidente e non dando credito ai sospetti del ragazzo.
Ma quando pochi giorni dopo Linda, la moglie del protagonista del dramma teatrale prossimo al debutto, viene trovata seminuda e in fin di vita nel giardino innevato della sua abitazione, sarà evidente a tutti che a Siglufjörður non regna più la pace

Nonostante i tantissimi titoli tradotti in italiano negli ultimi anni, questo è il primo giallo nordico che leggo e l’inizio non poteva essere migliore. Mi ero sempre tenuta alla larga dal genere perché immaginavo storie cupe e soprattutto molto lente: non che questa storia faccia immaginare di essere al carnevale di Rio, ma mi è piaciuta davvero tanto.

Lo stile è scorrevole e incalzante dove serve che lo sia, i personaggi sono variegati e ben descritti, il giallo è articolato e ben sviluppato: una lettura tutt’altro che noiosa.

Ma forse l’aspetto che mi ha colpita di più è l’ambientazione: l’autore riesce a far sentire tutto il senso di isolamento dato dalla collocazione di questa striscina di terra stretta fra i monti e il mare (inevitabile per me fare un parallelo con la mia Liguria, soprattutto adesso che tutte le strade che la attraversano sembrano essere pericolanti…), accentuato dai rigori di inverni che per fortuna noi possiamo solo immaginare!

Due parole su Siglufjörður: nel libro si fa spesso riferimento al boom delle aringhe e ai bei tempi, prima che le aringhe sparissero dal mare, senza però mai entrare nel dettaglio. La spiegazione l’ho trovata in rete ed è atroce: negli anni ‘40 e ‘50, su spinta danese, l’Islanda mise in opera un progetto per la pesca e la lavorazione delle aringhe, sfruttando le riserve ittiche al punto da causare la sparizione di quei pesci dal loro mare. In cambio di pochissimi decenni di questo fiorente mercato, che - come sempre succede - arricchì solo gli islandesi già ricchi, la pesca incontrollata svuotò letteralmente il Mare del Nord.
E’ un qualcosa che il mio cervello non riesce neppure a concepire: il mare è così immenso che non riesco a capire come a questi poveri pesci non sia stata lasciata neppure una via di fuga alla mattanza.

E l’uomo non impara mai dagli errori, o meglio, finge di non imparare per questioni di gola e di denaro.
Un esempio a tema? La pesca a strascico: il danno che creano questi tipi di reti è noto a chiunque, ma il massimo che si è riuscito a ottenere (e solo in alcuni Paesi) è il divieto di effettuarla sottocosta! Divieti sistematicamente ignorati da quelli che dovrebbero avere maggior interesse a salvaguardare ciò che determina il loro futuro economico.
Se non avessi così a cuore l’ambiente e gli animali, potrei godere dell’ignoranza di questi soggetti.

Reading Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di dicembre. Lo collego a "Le otto montagne" perchè entrambi gli autori sono uomini