sabato 21 dicembre 2019

"Oltre l'inverno", Isabel Allende


Prospect Heights, Brooklyn (New York), gennaio 2016. L’anno nuovo è cominciato da tre settimane quando una tempesta di neve si abbatte sul Paese. Ed è a causa della neve e di un attimo di distrazione che Richard Bowmaster tampona con il suo Suburu la Lexus che lo precede. Una botta lieve, grazie alla velocità rallentata dalle interperie, e Richard, serio e corretto professore universitario, non si scompone: ci penserà l’assicurazione. Ma l’unica cosa che può fare, dopo aver constatato che la ragazza al volante dell’altra macchina non parla e sembra non capire quello che lui le sta dicendo, è lasciarle il suo biglietto da visita. Sarà grande la sua sorpresa quando di lì a poco la troverà a bussare alla sua porta, ma non enorme come quella che proverà davanti al contenuto del bagagliaio della Lexus!
E con la città bloccata in quello stato di ibernazione generale c’è solo una persona a cui Richard può rivolgersi per avere aiuto, l’unica a essergli vicina fisicamente: Lucia Maraz, la collega cilena a cui ha affittato il seminterrato del suo palazzo per i sei mesi di dottorato presso la sua stessa università.

Era da prima del ‘96 che non leggevo Isabel Allende e riprendere con questo suo recente romanzo (del 2017) mi ha fatto pentire per averla messa, non volontariamente, nel dimenticatoio: è bello, bellissimo.

La vicenda gialla, un po’ banale e prevedibile, serve solo come stratagemma per creare l’incontro fra questi tre personaggi così diversi fra loro: Lucia, Richard ed Evelyn, la ragazza sulla Lexus. Diversi non solo per l’età – i primi due hanno raggiunto i 60 anni, Evelyn ne ha meno di trenta – ma anche per temperamento e per vissuto. Tre storie diverse, ma tutte drammatiche.

Amo i romanzi dove chi scrive sfrutta la finzione per raccontare la storia e la realtà. La Allende, con il suo stile scorrevole, riesce a raccontare il passato non solo dei tre: fa diventare personaggi anche i loro familiari (discendenti compresi), gli amici e i datori di lavoro. E non si limita ad abbozzarne la figura, ma va nel dettaglio costruendo figure marginali nel ruolo, ma non nella descrizione, dando loro uno spessore che molti autori non riescono a dare neppure ai protagonisti dei loro libri.

Ma sono la provenienza e i trascorsi delle due donne a dare al romanzo la profondità che ha. Attraverso Lucia, nata nel 1954 (e quindi diciannovenne nel ‘73), la Allende racconta il golpe militare cileno e i successivi 17 anni della dittatura di Pinochet, mentre attraverso Evelyn descrive la mattanza guatemalteca degli anni ‘80 e la Mara Salvatrucha, puntando il dito (ma avrebbe dovuto e potuto infierire di più) sugli Stati Uniti e i loro continui interventi nei Paesi dell’America Latina, portando attraverso la CIA al rovesciamento delle democrazie rimpiazzandole con “governi totalitari che nessuno statunitense avrebbe tollerato” (cit. dal libro).

Azioni che non fanno parte del passato: un tempo c’era Reagan, adesso c’è Trump…

E’ un libro che dovrebbero leggere quelli del “non sono razzista, ma...”: l’accurata descrizione del viaggio di Evelyn, in fuga dalla morte certa che l’avrebbe colpita se fosse rimasta in Guatemala, è così tragica, terribile e vera che se dopo averla letta non si riesce ancora a capire lo strazio di queste persone e si resta insensibili di fronte a certe miserie e a tali orrori, l’essere inequivocabilmente razzisti diventa un difetto minore rispetto all’ignoranza.

Nessuno dovrebbe mai dimenticare che il luogo di nascita è casuale: se vi è andata bene, come a me, non fatene un vanto, né tanto meno un merito.

Reading Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di dicembre. Lo collego a "Il miniaturista" perchè entrambe le autrici sono nate ad agosto