domenica 29 dicembre 2019

"Le otto montagne", Paolo Cognetti


Graines, frazione di Brusson (Aosta), agosto 1984. E’ durante quella estate che nasce l’amicizia fra Pietro e Bruno. In comune hanno solo gli 11 anni di età e il carattere chiuso. Bruno in quelle montagne ci vive e nonostante sia giovanissimo aiuta già lo zio con il pascolo. Pietro, invece, vive a Milano, la città dove i suoi genitori sono emigrati dal Veneto all’inizio degli anni ‘70. Assistente sociale lei, chimico lui, aspettano l’estate per tornare sui monti cambiando sempre paese (ma non regione), finché lei riesce a convincere il marito ad affittare una casetta, poco più che un rudere, in modo da avere una base fissa, fare conoscenze, illudersi di essere anche loro gente del posto e non di città…
E’ così che fra i due ragazzi, ritrovandosi anno dopo anno, nasce un forte legame che si interromperà con l’allontanamento di Pietro dalla sua famiglia, per poi solidificarsi in età adulta.

Libro famosissimo, vincitore del Premio Strega 2017 (anche del Premio Strega Giovani di quello stesso anno), che ammetto di aver deciso di leggere solo perché ha in copertina un elemento invernale, la neve, obbligatorio per tutti i libri letti a dicembre nella mia Reading Challenge.

La trama mi era nota ed immaginavo che fosse un libro adatto agli appassionati della montagna, cosa che io decisamente non sono. E non sono neppure un’amante dei libri di formazione. Unendo i due fattori - pur riconoscendo che si tratta di un libro discreto, scritto bene, in maniera semplice e scorrevole – è successo quello che mi aspettavo, non mi ha né interessato né emozionato.

L’essere descrittivo come è rende la montagna l’indiscussa protagonista, ma al suo fianco non ho trovato, come mi aspettavo, l’amicizia fra i due personaggi (né tanto meno ho colto l’omosessualità celata di cui avevo sentito parlare ai tempi della vittoria dello Strega), bensì il rapporto padre-figlio. Un legame fragile, freddo, non bello, cosa che mi ha reso l’intera lettura molto triste.

Tristezza amplificata dal ridottissimo ruolo in cui vengono relegati gli animali: se penso alla montagna vedo orsi, lupi, cervi, ecc… Sono loro gli abitanti della montagna, noi uomini ne siamo solo ospiti usurpatori, al pari di quando ci immergiamo nel mare rispetto ai pesci che lo popolano.
Cognetti non parla mai degli animali come di esseri viventi, ma come di bestie, dalle mucche al pascolo, al mulo da soma, alle trote da pescare fino all’atroce descrizione della macellazione di una povera camoscia.
Oggetti al servizio dell’uomo, da vivi e da morti.
Certi amanti della natura, come immagino che si definisca Cognetti, per coerenza dovrebbero limitarsi a dire di amare le piante (ma forse gli alberi abbattuti avrebbero qualcosa da ridire anche su questo).

Reading Challenge 2019: collegamento a cascata con la traccia di dicembre. Lo collego a "Un buon posto per l'inverno" perchè entrambi gli autori sono italiani