lunedì 29 giugno 2020

"Volevamo essere Jo", Emilia Marasco


Genova, 25 dicembre 1976. Giovanna, Lara e Carla hanno 12 anni e sono inseparabili: stessa scuola, stesso palazzo e quell’anno condividono anche i festeggiamenti del Natale a casa della prima. Il trio è in realtà un quartetto perché con loro - un po’ per scelta, un po’ per obbligo - c’è sempre Silvia, la sorellina di Giovanna.
Dopo pranzo compaiono quattro pacchetti identici con dentro lo stesso libro: una copia per ciascuna di “Piccole donne”, regalo delle mamme, sicure che la storia saprà conquistare le bambine come aveva fatto con loro a quell’età.
Genova, una trentina d’anni dopo, autunno. Solo le sorelle Masini vivono ancora in città: Carla si era trasferita nell’entroterra alla fine delle medie, mentre è stato il lavoro di giornalista a portare Lara a Roma.
Sarà Jo March a fornire l’occasione per ritrovarsi dopo tutti quegli anni, il personaggio che si erano tanto contese da bambine perché loro erano sì in quattro come le piccole donne del libro, ma tutte volevano essere Jo…

Libro diviso equamente in due parti, la prima racconta in terza persona i fatti degli anni ‘70, mentre nella seconda è Giovanna a diventare protagonista e voce narrante.

Come per “Famiglia: femminile plurale” il libro avrebbe potuto essere ambientato ovunque: non c’è alcuna connessione con Genova e con i suoi abitanti nel modo di scrivere dell’autrice e i riferimenti espliciti si riducono alla citazione del quotidiano locale e allo scatenarsi di una delle tante nostre alluvioni, scenario evitabile perché inutile ai fini della storia, ma che una volta inserito avrebbe meritato di essere trattato con più sentimento.

"Si muore di pioggia”: no, Maresco, a Genova si muore per il cemento!

Curioso che l’autrice nei ringraziamenti, che lei ha chiamato “backstage”, citi salita Santa Brigida e il paesino di Apricale: non capisco perché non dare i legittimi nomi ai luoghi descritti nel romanzo, probabilmente dettagli irrilevanti per chi non è del posto, ma una bella marcatura del territorio per chi lo è. A mio avviso una stupidaggine: quando sei un autore minore e scegli di ambientare i tuoi romanzi nella tua città dovresti puntare molto su questo per creare un legame con quelli che saranno sicuramente i tuoi primi lettori, un dettaglio che i Fratelli Frilli, e non solo loro, hanno sempre sfruttato molto bene…

Ma non è per questo elemento che ho trovato il libro deludente. Peccato perché l’idea di base - la trasposizione con le quattro protagoniste del libro della Alcott e la “lotta” per aggiudicarsi il ruolo di Jo nei giochi delle quattro bambine - era carina, ma viene sviluppata poco e male, perdendosi in infinite, inutili e insopportabili ripetizioni.

E non aiutano nemmeno i personaggi, che sono troppi e nessuno coinvolgente, avrei preferito un approfondimento delle personalità delle quattro bambine/donne e per tutte non avrebbe guastato una maggior simpatia.

Però la vera carenza del romanzo la si ha in quello che credo dovesse essere il centro della storia, cioè quell’emancipazione della donna che è invece la grande assente nel percorso delle quattro.
 
Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia normale di giugno "un libro con meno di 400 pagine"