Firenze,
un maggio dei nostri giorni. Non manca molto al 48° compleanno di
Enrico Vallesi, una fascia di età in cui sarebbe meglio evitare di
fare un bilancio fra le cose fatte e non fatte perché il tempo che
si ha davanti diminuisce giorno per giorno, spesso al pari
dell’energia necessaria per cercare di cambiare qualcosa. L’impresa
diventa più drammatica quando si ha la sensazione di essere rimasti
fermi, di aver perso grandi occasioni. Come succede a Enrico, che dopo la
pubblicazione del suo primo romanzo non ha saputo bissarne il
successo. Sono passati dieci anni, dieci anni trascorsi nella vana
ricerca di una nuova ispirazione, un’attesa resa più logorante
dopo che il suo editore lo ha declassato al ruolo di editor e
occasionalmente di ghostwriter.
Ma
una mattina, mentre sta bevendo il caffè al bar leggendo un
quotidiano, qualcosa cambia: un trafiletto di cronaca nera dov’è
riportata la notizia di una rapina cruenta. C’è stata una
sparatoria e uno dei banditi è stato ucciso. E’ successo a Bari,
la città dove Enrico è nato e ha vissuto fino al diploma, per poi
proseguire gli studi altrove, quasi scappando. E il nome del bandito
morto lui lo conosce bene, così bene che due ore dopo è già su un
treno diretto a sud…
Ormai
è diventata mia abitudine leggere sempre due libri
contemporaneamente, a volte tre, ed Emilia Marasco merita una
riflessione. I suoi due titoli si sono “scontrati”
rispettivamente con Veronesi e con Carofiglio: la bravura dei due ha
inevitabilmente accentuato la semplicità (a tratti anche la
mediocrità) dello stile di lei e della struttura dei suoi romanzi.
Il mio giudizio non cambia, ma indubbiamente se appaiata ad autori al suo livello il confronto non sarebbe stato così schiacciante.
Di
Carofiglio ho amato principalmente i titoli della serie di Guerrieri
e di Fenoglio: belle le storie e meravigliosi i due protagonisti.
Anche questa storia mi è piaciuta, diversa dalle altre (non è un
giallo, niente indagini, niente processi, ecc), ma è molto profonda e
decisamente più originale con i capitoli numerati ambientati nel
passato che vedono Enrico studente del liceo classico a raccontare i fatti
in prima persona e quelli intitolati “Enrico” narrati in seconda
persona (stile originale e, secondo me, per niente facile) con lui
adulto nel presente.
Ma
questo non è quel tipo di protagonista che ammiri e a cui ti
affezioni. Non ha niente da insegnare, non è un personaggio
negativo, ma neppure uno che ti viene voglia di imitare.
A
tratti ho pensato di leggere spunti autobiografici, in particolare
con i capitoli scolastici. Mi domando se anche Carofiglio studente si
sia infatuato di una giovane supplente di filosofia, ma queste parti per me sono state pesanti: non ho mai studiato
filosofia, la mia ignoranza in materia è totale, il mio interesse nullo e ho avuto non poche
difficoltà con le vere e proprie lezioni tenute dalla prof. Celeste.
Carofiglio ha un po' esagerato, diciamo che in questo caso non mi sentirei di dare torto a chi lo accusa di tracotanza..
Reading
Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia normale di giugno "un libro con meno di 400 pagine"