Ho un unico, nitidissimo ricordo di Leyla neonata in braccio a suo padre. Era il 1995 o giù di lì e stavamo aspettando l'ascensore nell'atrio del palazzo dove ho abitato fino al '98 e dove aveva vissuto anche lui fino a quando si era sposato e trasferito nella parte bassa di Sampierdarena. Siamo quindi stati vicini di casa per molti anni, perdendoci completamente di vista quando - nel '98, appunto - mi sono a mia volta sposata e trasferita in un altro quartiere, Pegli.
Molti anni dopo era stata una sorpresa scoprire che quella neonata da adulta aveva sposato il giornalista sportivo più famoso delle emittenti televisive genovesi, quel Maurizio Michieli, sampdoriano come me, che ho letto l'anno scorso.
Il libro di Leyla lo avrei comprato a prescindere dall'argomento, ma il titolo ha indubbiamente accresciuto la mia curiosità. Amazon lo classifica come narrativa contemporanea e, infatti, la protagonista si chiama Sephora, non Leyla, così come sono diversi i nomi di tutti gli altri personaggi, ma è fortemente autobiografico, al punto che leggerlo mi ha creato molto disagio, mi sono sentita un'intrusa nella vita non tanto dell'autrice, che non ho mai conosciuto davvero, quanto del mio ex vicino di casa e dei genitori di lui. E non mi è piaciuto.
Come non mi è piaciuto il libro, il peggiore degli ormai più di cento letti quest'anno. Su Amazon ha 36 votazioni e cinque stelline piene, cosa a cui arrivano solo gli autori minori. Quelli grandi, anche quelli immensi, nel mucchio ricevono sempre qualche stroncatura dai lettori. Gli esordienti, invece, vengono incensati e non ci vuole molto a intuire che il merito va a recensioni amiche, che sono anche quelle che si distinguono per l'eccessivo entusiasmo.
Io l'ho trovato penosamente negativo. La storia di Sephora è quella di una figlia nata da una coppia mista che dichiara di essere odiata dalla propria madre. In poco più di cento pagine (per fortuna è un libro breve) descrive più volte le stesse situazioni con questa cattiva madre, priva di affetto verso figlia, figlio e marito, ma capace di abbindolare l'intero vicinato e i giudici (anzi, le giudici) che dalla separazione e fino all'età adulta dei due figli si trovano a dover decidere le sorti della famiglia nelle aule di tribunale.
Quanto ci sia di vero in questo non lo so, ma il libro - scritto in maniera confusa, paradossalmente antiquata, pesante, inutilmente volgare e con un uso assurdo e mal riuscito di sei o sette frasi tratte da celebri canzoni di Fabrizio De Andrè - trasuda odio in ogni paragrafo diventando subito fortemente disturbante.
Per quanto Sephora si indigni nel sentirsi considerare razzista e misogina, è questa l'immagine che dà di sè. Il messaggio che questo libro vuole trasmettere è che non tutte le madri del mondo sono amorevoli e che non tutte le donne sono vittime, ma se questo è vero, non si può ignorare che si tratta di una sparuta minoranza e che una donna arrivi ad attaccare le mogli e madri separate definendole "assatanate di stabilità economica gratuita" mi fa parecchio schifo.
Citando un manifesto contro la violenza sulle donne ne parla in questi termini: "Non era altro che l'ultima trovata nazifemminista allo scopo di screditare gli uomini da una parte e dall'altra aumentare il credito dell'ultra-iper-estra vittimizzato genere femminile"!
Il libro è pieno di deliri di questo tipo, un insulto verso le tante, troppe donne vittime di abusi e violenze. Ma questa ragazza ha mai sentito parlare dei femminicidi? Io non so quanto sia stata brutale sua madre e, avendolo conosciuto, non stento a credere che il padre sia la persona meravigliosa che descrive, così come i nonni paterni, ma arrivare ad accusare la società italiana del XXI secolo di disparità di trattamento fra uomo e donna a favore delle donne significa vivere fuori dal mondo.
Molti anni dopo era stata una sorpresa scoprire che quella neonata da adulta aveva sposato il giornalista sportivo più famoso delle emittenti televisive genovesi, quel Maurizio Michieli, sampdoriano come me, che ho letto l'anno scorso.
Il libro di Leyla lo avrei comprato a prescindere dall'argomento, ma il titolo ha indubbiamente accresciuto la mia curiosità. Amazon lo classifica come narrativa contemporanea e, infatti, la protagonista si chiama Sephora, non Leyla, così come sono diversi i nomi di tutti gli altri personaggi, ma è fortemente autobiografico, al punto che leggerlo mi ha creato molto disagio, mi sono sentita un'intrusa nella vita non tanto dell'autrice, che non ho mai conosciuto davvero, quanto del mio ex vicino di casa e dei genitori di lui. E non mi è piaciuto.
Come non mi è piaciuto il libro, il peggiore degli ormai più di cento letti quest'anno. Su Amazon ha 36 votazioni e cinque stelline piene, cosa a cui arrivano solo gli autori minori. Quelli grandi, anche quelli immensi, nel mucchio ricevono sempre qualche stroncatura dai lettori. Gli esordienti, invece, vengono incensati e non ci vuole molto a intuire che il merito va a recensioni amiche, che sono anche quelle che si distinguono per l'eccessivo entusiasmo.
Io l'ho trovato penosamente negativo. La storia di Sephora è quella di una figlia nata da una coppia mista che dichiara di essere odiata dalla propria madre. In poco più di cento pagine (per fortuna è un libro breve) descrive più volte le stesse situazioni con questa cattiva madre, priva di affetto verso figlia, figlio e marito, ma capace di abbindolare l'intero vicinato e i giudici (anzi, le giudici) che dalla separazione e fino all'età adulta dei due figli si trovano a dover decidere le sorti della famiglia nelle aule di tribunale.
Quanto ci sia di vero in questo non lo so, ma il libro - scritto in maniera confusa, paradossalmente antiquata, pesante, inutilmente volgare e con un uso assurdo e mal riuscito di sei o sette frasi tratte da celebri canzoni di Fabrizio De Andrè - trasuda odio in ogni paragrafo diventando subito fortemente disturbante.
Per quanto Sephora si indigni nel sentirsi considerare razzista e misogina, è questa l'immagine che dà di sè. Il messaggio che questo libro vuole trasmettere è che non tutte le madri del mondo sono amorevoli e che non tutte le donne sono vittime, ma se questo è vero, non si può ignorare che si tratta di una sparuta minoranza e che una donna arrivi ad attaccare le mogli e madri separate definendole "assatanate di stabilità economica gratuita" mi fa parecchio schifo.
Citando un manifesto contro la violenza sulle donne ne parla in questi termini: "Non era altro che l'ultima trovata nazifemminista allo scopo di screditare gli uomini da una parte e dall'altra aumentare il credito dell'ultra-iper-estra vittimizzato genere femminile"!
Il libro è pieno di deliri di questo tipo, un insulto verso le tante, troppe donne vittime di abusi e violenze. Ma questa ragazza ha mai sentito parlare dei femminicidi? Io non so quanto sia stata brutale sua madre e, avendolo conosciuto, non stento a credere che il padre sia la persona meravigliosa che descrive, così come i nonni paterni, ma arrivare ad accusare la società italiana del XXI secolo di disparità di trattamento fra uomo e donna a favore delle donne significa vivere fuori dal mondo.
"Che brutta razza, le donne"
No, Leyla, non è brutta la razza: sono brutte certe donne. Ed è brutto il tuo libro.
Reading
Challenge 2021: questo testo risponde all'undicesima traccia annuale,
"tre libri scritti da autori che non hanno rivelato la loro data di nascita