Gran Bretagna, 24 maggio 1999 e mesi successivi. I Global Hotel sono una catena di alberghi di lusso, identici fra loro a qualunque latitudine e longitudine. Qui siamo nel nord dell'Inghilterra, o più probabilmente in Scozia, in una città non troppo grande che non viene mai nominata.
Sara Wilby ha 19 anni e lavora al Global Hotel solo da due giorni quando ci muore.
Else Frerman del Global Hotel può permettersi di usare solo il marciapiede, per mendicare, ma una notte le viene offerto l'uso gratuito di una stanza perché fuori fa troppo freddo.
Lise O'Brien ha 25 anni e lavora alla reception del Global Hotel da diciotto mesi quando si ammala.
Anche Penny Warner ha 25 anni, fa la giornalista e soggiorna al Global Hotel per recensirlo.
Infine c'è Clare Wilby, che ha solo 15 anni e per giorni e giorni si siede di fronte al Global Hotel a fissarlo, finché un giorno ci entra indossando la divisa di riserva di Sara perché non crede al suicidio e vuole capire cosa sia successo a sua sorella.
Secondo romanzo scritto nel 2001 (il primo, "Like", non è ancora stato tradotto in italiano) da quest'autrice di cui a colpirmi era stata la città di nascita, Inverness, perché mio marito simpatizza per la squadra di calcio.
L'anno scorso avevo comprato la tetralogia "Autunno", "Inverno", "Primavera" ed "Estate" con l'intenzione di leggerli per la traccia annuale relativa alle stagioni dell'anno, cosa che poi non ho fatto per mancanza di tempo e ora, dopo aver letto questo, mi chiedo se avrò mai il coraggio per affrontarla.
"Hotel World" è un romanzo breve (195 pagine) che mi ha messa molto in difficoltà confermando tutti i limiti che già sapevo di avere verso il postmodernismo. Pur riconoscendo la bravura di chi scrive, con punte di vera e propria genialità, certe forme stilistiche sono troppo per me: troppo costruite, troppo aperte, troppo stravaganti e alla fine non posso dire di aver apprezzato la lettura.
Questo non mi ha impedito di capire che sia un libro di qualità che raggiunge l'apice proprio nel capitolo per me più ostico, quello dove la voce narrante è Clare: totalmente privo di punteggiatura e con l'uso della e commerciale al posto della e di congiunzione, è destabilizzante, un flusso continuo di parole, di pensieri presi e abbandonati, iniziati e poi interrotti, poi ripresi e sovrapposti ad altri. Insomma, un vero casino, che però trasmette magistralmente l'inquietudine, il disagio, la solitudine e il dolore che stanno opprimendo questa ragazzina.
Ma tutto il libro è fatto più di pensieri che di azioni, con dialoghi ridotti al minimo e frasi spesso brevissime oppure con periodi lunghi o lunghissimi, perché la Smith ha dato a ciascuna delle sue protagoniste un linguaggio proprio e molto ben delineato, che le contraddistingue.
Un libro a tratti delirante (esempio: dieci minuti di lettura sulla ricerca di un oggetto affilato che permetta ai due personaggi coinvolti di poter svitare una vite), con molta introspezione, ma con un'analisi che però non arriva mai (volutamente) a fare chiarezza, appena si riesce a capire qualcosa di una delle donne - ognuna protagonista del proprio capitolo - questo finisce senza portare a quel punto definitivo che personalmente amo e voglio avere dallo scrittore.
E' un libro che necessita di molta concentrazione, o per lo meno è servita a me perché tutti quei pensieri tendevano a distrarmi, almeno finché non riuscivo a capire dove mi volesse portare la Smith. E porta sicuramente a fare grandi riflessioni, sui divari sociali e le conseguenti ingiustizie, ma soprattutto sulla vita, sulla morte, su come i giovani si sentano immortali.
Perché se è vero che la "stanza di legno" aspetta ciascuno di noi, è anche giusto cercare di non finirci dentro prima del dovuto. Non a 19 anni, per esempio...
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