martedì 29 marzo 2022

"Il piano infinito", Isabel Allende


Gregory Reeves nasce nel 1939 in un punto imprecisato degli Stati Uniti, fratello minore di Judy e figlio di Nora (madre anaffettiva di origini russe) e di Charles (australiano).
I Reeves erano nomadi, giravano per il Paese a bordo del loro camion fermandosi in piccoli centri dove Charles, Dottore in Scienze Divine, divulgava l'Unica Verità del Piano infinito: "Non minacciava castighi né prometteva salvezza eterna, si limitava a offrire soluzioni pratiche per migliorare la convivenza, placare l'angoscia e preservare le risorse del pianeta. Tutte le creature possono e debbono vivere in armonia".
Il girovagare termina con l'inizio della malattia del padre: i Reeves si accampano (letteralmente) a Los Angeles, in quella parte della città più messicana che americana. E' lì che Gregory va a scuola per la prima volta e inizia la sua crescita che lo porterà all'università di Berkeley, in Vietnam e poi di nuovo in California, a San Francisco.

Questo è uno di quei libri che dispiace finire. Dopo aver seguito la vita di Gregory per più di quarant'anni, arrivando quasi ai suoi cinquanta, avrei voluto accompagnarlo fino alla vecchiaia e sarebbe bello se Isabel Allende scrivesse il seguito, continuando a usare questo suo protagonista per raccontarci (soprattutto) l'America.

L'America razzista. I Reeves (ancora nomadi) danno un passaggio a un ragazzo di colore, King Benedict, e con questo pretesto la Allende scrive cose ovvie solo per chi non è affetto da ignoranti pregiudizi:

"Noi bianchi siamo una minoranza."
"Io vedo più bianchi che neri, mamma."
"Questo è solo un pezzo di mondo, Judy. In Africa ci sono più neri che bianchi. In Cina hanno la pelle gialla. Se noi vivessimo a sud del confine saremmo bestie rare, la gente per strada rimarrebbe sbalordita di fronte ai tuoi capelli così chiari. La pelle non conta niente."
Pochi autori hanno la capacità che ha la Allende nel descrivere la miseria e la discriminazione. Dei neri, degli indios, dei messicani. Usando parole sempre attuali per chi ancora oggi si ritrova a dover fuggire per fame e disperazione.

"Venivano da tutti i paesi a sud del confine in cerca di lavoro, senza altri averi che gli abiti che indossavano, un fagotto sulle spalle e la ferma intenzione di migliorare le proprie condizioni in quella Terra Promessa, dove si diceva che il denaro crescesse sugli alberi e chiunque avesse una certa abilità poteva diventare un capitano d'industria con una Cadillac e una bionda appesa al braccio. Non gli avevano detto, però, che per ogni fortunato ne restavano per strada cinquanta e altri cinquecento ritornavano sconfitti, e che non sarebbero stati loro i beneficiati, che il loro destino era aprire la strada per i figli e i nipoti che sarebbero nati in quella terra ostile. Non sospettavano le privazioni dell'esilio, che i padroni avrebbero profittato di loro e le autorità li avrebbero perseguitati, quanti sforzi sarebbe costato riunire la famiglia portare con sé i bimbi e i vecchi, il dolore di dire addio agli amici e di abbandonare i propri morti. Neppure li avevano avvertiti che ben presto avrebbero perduto le loro tradizioni e che il distruttivo logorarsi della memoria li avrebbe lasciati senza ricordi, né che sarebbero stati i più umiliati tra gli umili. Ma se anche lo avessero saputo, forse avrebbero comunque intrapreso il viaggio verso il nord."
Facendo crescere Gregory nella California meridionale - un tempo territorio messicano - dove è lui, biondissimo, a essere un emarginato, la Allende ci presenta un'America insolita, quella reale, perché "Il sogno americano non si realizza per tutti" e la discriminazione non risparmia nemmeno i bianchi, se poveri. 

Denuncia lo sfruttamento degli operai e ci parla del nascente femminismo e degli aborti clandestini, degli yippies, dei movimenti studenteschi, della "paura rossa".

Attraverso gli occhi di Nora descrive gli orrori della seconda Guerra mondiale, i campi di sterminio, le bombe atomiche sul Giappone.
"I giapponesi erano stati vinti dall'arma più potente della storia, che uccise in pochi minuti centotrentamila esseri umani e ne condannò altrettanti a una lenta agonia. La notizia dell'accaduto produsse un silenzio inorridito nel mondo, ma i vincitori sommersero la visione dei cadaveri ustionati e delle città ridotte in polvere con una gazzarra di bandiere, sfilate e bande musicali, anticipando il ritorno dei combattenti."
E poi arriva la terza parte (il romanzo si divide in quattro), quella sul Vietnam: il libro meriterebbe di essere letto anche solo per il modo in cui descrive la guerra, il suo non senso e, anche qui, la sua discriminazione.
"Questa è una guerra di neri e bianchi poveri, ragazzi di campagna, dei piccoli villaggi, dei quartieri più miseri, i signorini non stanno in prima linea, i loro padri trovano il modo di farli restare a casa o i loro zii colonnelli li mandano in un posto sicuro. Mia madre sostiene che la più grave perversità è il razzismo, Ciro diceva che è l'ingiustizia di classe, hanno ragione entrambi, penso, neppure al momento di andare in guerra siamo uguali."
Gran personaggio, Ciro...
"Ero venuto per colpa di Hemingway, in cerca della virilità, del mito del macho"
E si chiude con l'America del post Vietnam continuando a presentarne un aspetto più autentico di quello che molti voglio far credere e in cui altrettanti vogliono credere.
"Non si vedeva tanto egoismo, corruzione e arroganza dai tempi dell'Impero Romano"
La Allende alterna la prima e la terza persona spostandosi da un personaggio all'altro con una narrazione corale che crea una storia multi strutturata intrecciando le varie vicende nel modo che rende i suoi romanzi unici e piacevolissimi. Superiori.
"Il nemico non ha volto, non è umano, è un animale, un mostro, un demonio, se potessi crederlo nel profondo del cuore sarebbe più semplice, ma Ciro mi ha insegnato a mettere tutto in discussione, mi ha costretto a chiamare le cose col loro nome: uccidere, assassinare." 

Reading Challenge 2022, traccia di marzo: un libro di un editore letto il mese scorso (Feltrinelli)