mercoledì 9 marzo 2022

"La vedova di Van Gogh", Camilo Sanchez


Johanna Bonger nacque ad Amsterdam il 4 ottobre 1862 e morì a Laren il 2 settembre 1925. Fu moglie di Theo Van Gogh che alla morte, successiva di appena sei mesi a quella di Vincent, le lasciò in eredità tutti i quadri, i disegni e le lettere del fratello.
Il contributo che Johanna diede alla fama di Van Gogh, incompreso e disprezzato in vita (il collegio dell’Académie Royale des Beaux Arts di Anversa aveva decretato all’unanimità che Van Gogh dovesse ripartire dalla classe dei principianti per le sue difficoltà nel disegno), fu fondamentale, grazie all'allestimento di mostre postume, ma anche alla pubblicazione, nel 1914, della corrispondenza intercorsa fra i due fratelli.
Seicentocinquantuno lettere scritte nell'arco di diciassette anni, in fiammingo, inglese o francese.

Il romanzo dell'argentino Camilo Sanchez è una sorta di narrativa biografica dei tre e la mia abissale ignoranza pittorica - determinata dal totale disinteresse verso quest'arte - mi ha reso più interessanti le parti del libro riguardanti Johanna.

Una donna rimasta vedova a 29 anni con un bimbo (omonimo del pittore) di appena uno, che - grazie all'indispensabile sostegno economico della famiglia di origine - è riuscita a tornare nel Paese natio e a rendersi indipendente aprendo una locanda, lavoro che le ha permesso di far conoscere le opere del cognato.

A spingerla non credo siano stati soltanto l'amore per l'arte o il desiderio di riscattare il nome di Van Gogh, le cui tele erano state definite dai critici dell'epoca addirittura terrificanti o stomachevoli ("Octave Maus ricorda una frase che ripeteva Toulouse-Lautrec: i critici sono come gli eunuchi, sanno come si fa, ma non sono capaci di farlo"). Olandesi: grandi commercianti: non penso di essere maliziosa nel ritenere che la vedova abbia investito anche per interesse personale e, nel caso, avrebbe fatto bene.

Ho questa idea perché Johanna e Vincent si sono incontrati un'unica volta, quando lui - due mesi prima di morire - aveva trascorso quattro giorni (partendo anticipatamente, rispetto alla settimana prevista) a casa del fratello e della cognata e perché il diario di lei - che era solita tenere da quando aveva 17 anni, scritti a cui Sanchez fa continuamente riferimento - evidenzia il fastidio che provava per i 150 franchi che Theo versava mensilmente a Vincent, di fatto mantenendolo, mentre non emerge una grande considerazione per il cognato, né prima della morte né nel periodo immediatamente successivo, quando in realtà Johanna era sopraffatta dalla preoccupazione per il marito, distrutto dal dolore e dal senso di colpa per la morte del fratello, stato d'animo che lo porterà sottoterra nell'arco di sei mesi.

Theo morì e venne sepolto nei Paesi Bassi, ma fu Johanna nel 1914 (guarda caso proprio l'anno in cui venne pubblicato "Lettere a Theo"...) a ricongiungere i due fratelli facendo spostare la bara del marito nel cimitero di Auvers-sur-Oise, a circa 30 km da Parigi.


Però è possibile, o forse probabile, che l'opinione di Johanna sul cognato sia cambiata leggendo le sue lettere. Scriveva davvero bene, Van Gogh: se non ho i mezzi per poter apprezzare le sue doti di pittore, ho sicuramente gradito gli stralci delle sue lettere riportati da Sanchez.

L'autore offre anche un interessante spaccato della vita dell'epoca. In principio quella di una Parigi che oltre a Van Gogh accoglie Verlaine, Toulouse-Lautrec, ecc, all'indomani dell'Esposizione Universale del 1889, con la torre Eiffel che continua a svettare non essendo stata demolita al termine dell'Expo (come invece era previsto), con i primi lampioni a gas a illuminare le strade e con la derisione per la comparsa dei primi water-closet, di invenzione britannica.

Anche questa volta ho riscontrato un errore su una data di riferimento. Nel secondo capitolo André, fratello di Johanna, parlando dell'Elysée, un bordello di Pigalle, dice che "ha perduto le sue attrazioni principali. (...) Sono passati al servizio del nuovo locale di moda, il Moulin Rouge". Questa conversazione avviene nell'autunno 1890, ma Wikipedia mi dice che il Moulin Rouge venne inaugurato il 6 ottobre 1891, esattamente un anno dopo...

Nella seconda parte abbiamo i Paesi Bassi che vediamo (purtroppo molto superficialmente) attraverso gli occhi di una Johanna che in breve tempo raggiunge un grado di emancipazione inimmaginabile per una donna dell'epoca. Indubbiamente l'aiuto economico ricevuto dalla famiglia ha fatto la differenza, ma il movimento femminista di cui faceva parte rende l'idea di che tipo di persona fosse.

Grazie a lei il libro, che nella prima metà è permeato di una tristezza angosciante, diventa più brioso e, per me, più interessante. Ma è un bel libro, che chi ama Van Gogh o la pittura in generale deve assolutamente leggere.

"Toorop aveva annotato sui suoi quaderni le varie tappe che aveva attraversato, senza fiato, la vita artistica di Van Gogh. Il gesso nero e il carboncino degli inizi, l’olio scuro dei mangiatori di patate, la china stemperata di Drenthe, gli acquarelli di Scheveningen, i disegni rustici di Anversa, la scoperta delle stampe giapponesi e tutte le scuole che aveva incontrato sotto la luce francese fino ad assomigliare soltanto a se stesso."

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