Saint-Sulpice (Svizzera), 30 gennaio 2011. Sono il luogo e il giorno in cui Alessia e Livia Schepp, due gemelle di sei anni, vengono viste per l'ultima volta. Hanno trascorso il fine settimana con il padre, i genitori dall'agosto precedente non vivono più insieme e loro sono state affidate alla madre. Ma la donna alla fine di quella domenica al posto delle figlie trova un biglietto agghiacciante: "Le bambine riposano in pace, non hanno sofferto... Non le rivedrai mai più".
E infatti nessuno rivede più Alessia e Livia.
Qualcosa questa volta non funziona nell'osannata precisione Svizzera: la madre non trova nelle autorità qualcuno in grado di rendersi conto che la gravità della situazione richiede che venga fatto immediatamente qualcosa. Forse perché la Svizzera non è solo precisa, ma anche maschilista e un po' tanto piena di sé...
Quando la donna mostra il biglietto di addio si sente rispondere che serve una traduzione ufficiale perché è scritto in tedesco, mentre quella è la Svizzera francese: non importa se sia lei che loro il tedesco lo capiscono benissimo. E la sua preoccupazione viene liquidata così: "Tranquilla, signora. Suo marito è svizzero tedesco, non brasiliano. Tornerà"
Invece Mathias Shepp non torna: il 3 febbraio 2011 si suicida gettandosi sotto a un treno nella stazione di Cerignola. Delle bambine non c'è traccia.
Quattro anni dopo Irina Lucidi, la madre ascolana di Alessia e Livia, tramite un'amica comune riesce a contattare Concita De Gregorio e le racconta la sua storia.
Da quell'incontro nasce questo piccolo libro (128 pagine), pubblicato nel 2015 e vincitore l'anno successivo del Premio Brancati per la narrativa. Perché la storia è vera, ma questo non è un reportage, non ha il taglio giornalistico che ci si potrebbe aspettare dall'autrice. E' un romanzo dove la De Gregorio fa di Irina la voce narrante ed è brava, davvero molto brava.
Mi piace la De Gregorio, mi piace come scrive (ma finora avevo solo letto i suoi articoli di giornalista politica) e mi piace come parla (anche se sulla 7 la vorrei più netta, come so che sa essere, ma probabilmente Cairo pone dei limiti...), ma qui è stata bravissima (lo sono state entrambe). Con una vicenda come questa è facile suscitare commozione e indignazione, ed è ancora più facile trascendere e alimentare quello che io chiamo "gossip macabro", tristemente comune a certe riviste e trasmissioni TV. Anche a certi libri.
Questo nasce con lo scopo di far conoscere Missing Children Switzerland, l'organizzazione fondata dalla Lucidi per fornire a chi ne dovesse aver bisogno quell'appoggio che a lei è totalmente mancato.
Dato quello di cui parla, sarebbe stato un libro angosciante anche se la storia fosse stata inventata, ma trattandosi di no fiction diventa un macigno. Ma riesce a essere anche tenero, una tenerezza che in chi legge si trasforma facilmente in compassione, un sentimento che a nessuno piace suscitare, ma che a volte - come in questo caso - è impossibile impedirsi di provare.
Non sono madre, ma non serve esserlo per sapere che non esiste dolore più grande di quello di sopravvivere ai propri figli. Non so cosa sia peggio fra il saperli morti o saperli probabilmente morti. Io non credo che lo scopo di Irina Lucidi fosse quello di spiegare come si riesca a sopravvivere a un dolore come questo, ma forse il libro le è servito anche per giustificarsi dell'essere ancora viva dopo la tragedia che l'ha colpita perché, come dice, c'è chi guardandola si chiede "Come puoi dimenticare, come puoi essere di nuovo felice, come puoi essere ancora viva e stare ancora nel mondo? Hai dimenticato le bambine?".
E questo, dico io, se lo possono chiedere le persone che si nutrono di gossip macabro. Ma questo libro è troppo per loro, continuino pure a leggere "Giallo" e "Cronaca vera".
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