mercoledì 22 luglio 2020

"Il mistero del lago", Nora Roberts


Angel’s Fist (Wyoming), primavera. Reece Gilmore soffre della sindrome del sopravvissuto da quando, qualche anno prima, dei banditi hanno fatto irruzione nel ristorante dove lavorava come chef facendo una carneficina.
Da allora tutto è cambiato per lei: al posto della grande città c’è una piccola cittadina che vive di turismo, al posto del ristorante di prestigio c’è una tavola calda, ma soprattutto al posto della giovane donna con una brillante carriera davanti c’è uno scricciolo a cui basta lo scoppio di un motore per urlare dal terrore.
E un giorno la morte violenta torna a stravolgerle l’esistenza: durante una passeggiata lungo le rive del lago vede dalla parte opposta una coppia. Nonostante la distanza è chiaro che stanno litigando furiosamente. Reece con il binocolo vede l’uomo colpire la donna, questa cadere, rialzarsi, spintonarlo e quindi lui buttarla a terra mettendosi a cavalcioni con le mani strette attorno alla gola.
Reece corre a perdifiato fino alla casa più vicina, quella di Brody, l’affascinante scrittore che ha già avuto modo di conoscere al ristorante, e insieme si precipitano nel punto dove c’era la coppia non trovando nessun segno e nessun cadavere, ma Reece è sicura di quello che ha visto, anche se pochi sembrano disposti a crederle…

Storia strutturata in modo pressoché identico a quella di “Luci d’inverno”: questa volta la protagonista è una donna, ma abbiamo di nuovo un personaggio che - scottato dal recente passato, con grosse fragilità emotive e una situazione lavorativa da ricostruire – opta per un piccolo centro abitato dove tutti si conoscono da sempre e dove, superata l’iniziale ostilità per il forestiero, riescono a inserirsi trovando ovviamente il grande amore.

Identico anche lo stile svenevole e melenso, mentre l’arretratezza di vedute riguardo ai ruoli delle donne e degli uomini qui raggiunge vette terrificanti con meccanismi e affermazioni che mandano in frantumi anni e anni di lotta per l’emancipazione femminile. Dialoghi e scenari romantici terribilmente leziosi, espressioni che chiaramente vorrebbero essere sensuali, ma che avrebbero privato di ogni accenno di passione anche mia nonna, e quel “mingherlina” con cui lui si rivolge a lei, nomignolo irritante per il numero di volte che viene detto, ridicolo anche solo da pensare, ma soprattutto scorretto perchè affibbiato a una persona sottopeso per problemi psichici.

Appurato che il rosa crime è un genere che non mi si addice, non posso fare a meno di chiedermi come un lui che prima di baciare la lei le raccomanda: “Faresti meglio a prendere fiato, stiamo per immergerci” possa soddisfare chi in un libro cerca anche del romanticismo o della sensualità!

Come in “Luci d’inverno”, il rosa della storia predomina sul giallo, ma stavolta sono due tonalità di rosa e di giallo brutte: il rosa perché ancora più stereotipato, il giallo perché la vicenda è molto più banale, la risoluzione basata su casualità grossolane e il tentativo finale di creare un depistaggio fra due possibili colpevoli così evidente da risultare imbarazzante.

Anche i Teton Range non godono di descrizioni belle come quelle di cui avevano beneficiato i monti dell’Alaska, mentre per gli animali non cambia nulla, la solita strage fra trofei appesi o costine di alce e stufati di bisonte nel piatto: è anche per loro se preferisco rimandare la lettura del terzo romanzo della Roberts che ho, "Ossessione", prima di tornare a separare le nostre strade per sempre.
 
Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia normale di luglio "un libro in cui un personaggio muore"