Due
uomini si danno appuntamento in uno di quei bar dove è possibile
parlare riuscendo a sentire quello che l’altra
persona dice. I due non si conoscono. Il primo, quello giovane, fa lo
scrittore e per il suo libro ha bisogno che qualcuno gli spieghi i
segreti per far confessare chi è sospettato di aver commesso un
crimine. Il secondo, quello anziano, è la persona con cui gli hanno
consigliato di parlare perché è un esperto. Un poliziotto famoso
per riuscire a ottenere una confessione senza dover ricorrere alla
violenza.
Come
specificato in copertina, questo librino è un dialogo, volendo
esagerare quasi un interrogatorio dove il poliziotto per una volta si
ritrova a essere quello che risponde alle domande, non quello che le
fa.
Inizia
con una citazione che ero sicura di aver già letto:
"Io
non mi fido mai di una confessione cui non ho assistito. E a dire la
verità, non mi fido nemmeno di quelle cui ho assistito, se non so
esattamente cosa è successo prima”
Carofiglio
l’aveva già usata con il suo maresciallo Fenoglio e proseguendo ho
trovato altre affermazioni e situazioni prese dai suoi libri. Questa
cosa rende probabilmente la lettura più interessante per chi si
trova a leggere per la prima volta questi spunti, altrimenti sono
cose – per quanto interessanti, ben scritte, argute, ecc – già
lette.
Non
esiste il reato di auto-plagio, ma personalmente lo trovo fastidioso,
soprattutto in considerazione dei 3.80€ che costa questo racconto
di appena 38 pagine.
Per
fortuna il valore del messaggio trasmesso, anche se già letto
(soprattutto in “La versione Fenoglio”), è superiore a quello
dell’oggetto in sé: sottolineare che c’è un comportamento
corretto e giusto da tenere da parte delle forze dell’ordine,
basato sulla forza delle parole (altro tema sempre caro a Carofiglio)
e non sulla forza bruta della violenza e della disparità.
Non sarebbe stato male imporne la lettura ai militari torturatori della caserma di Piacenza...
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Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia autore di luglio