16 km
quadrati di superficie marina sono coperti da cinque isole di
plastica galleggianti.
Nel
solo Mediterraneo il 96% della spazzatura che galleggia in superficie
e il 72% di quella che si accumula sulle spiagge sono costituiti da
plastica.
Tutti
sbottiamo nel tipico “roba da matti” quando guardiamo i servizi a
tema in televisione, eppure tutti contribuiamo allo sfacelo.
Il
proposito di questo breve saggio è quello di sensibilizzare i
lettori a cambiare le proprie abitudini analizzandole settore per
settore, a casa, sul lavoro, a scuola, nel tempo libero, ecc,
fornendo idee e consigli e completando il tutto con una guida ai
diversi tipi di plastica per poterla riconoscere e differenziare
correttamente.
La
parte propositiva l’ho trovata abbastanza deludente, non fornisce
spunti originali per chi è già attento al problema e non è
particolarmente incisiva per stimolare quelli che se ne infischiano.
Persone,
queste ultime, che comunque non leggeranno il libro e questo è un
aspetto basilare del problema, le troppe persone che non lo sentono
come proprio quando invece lo è, eccome, e lo è soprattutto per
chi, a differenza mia, ha figli, che facilmente a loro volta avranno
figli, che avranno anch’essi figli, ecc, ecc…
Non
è un dettaglio da poco: non avendo avuto figli, se volessi
pensare solo a me stessa e avendo già 50 anni, mi basterebbe che la
Terra rimanesse ancora vivibile per quanto? Diciamo una trentina
d’anni, ad essere ottimisti…
Ma
a una mia coetanea con figli ventenni 30 anni non bastano, ai suoi
figli ne servono 60. E se vuole pensare anche ai nipoti che
presumibilmente nasceranno fra dieci anni, ecco che la mia coetanea
deve sperare in almeno 90 anni di Terra vivibile e così via.
Di
generazione in generazione l’interesse per la salvaguardia del
pianeta aumenta, è ovvio. O meglio, sembrerebbe ovvio, perché noto
costantemente un maggior interesse per le tematiche ambientali nelle
persone che conosco che hanno animali, non in quelle che hanno figli
e la cosa – se non mi facesse arrabbiare – mi farebbe quasi
sorridere.
Tornando
al libro e ai suoi consigli, tutti sanno che bisogna portarsi le
sporte da casa quando si va a fare la spesa, ma nella pratica lo fa
solo chi ha un minimo di spinta ecologista. E questo discorso vale
per tutti gli spunti forniti dall’autore: validi, ma noti.
Sull’altro
aspetto fondamentale del problema plastica non sono d’accordo con lui:
"E’
facile addossare la colpa ai produttori che chiaramente
sono i primi indiziati: potrebbero produrle con materiali
biodegradabili”
Avendo
scritto un libro per invogliare le persone a ridurre il consumo di
plastica e a fare una corretta raccolta differenziata è lecito che
in più punti del testo ricordi le responsabilità del singolo e
l’importanza che ognuno faccia il suo, ma io sono convinta che il
primo passo vada fatto dalla legislatura dei vari Paesi, imponendo
regole precise ai produttori perché, per quanto si sia volonterosi
nel fare attenzione al packaging al momento della spesa, è
impossibile non portarsi a casa degli imballaggi superflui, molto
spesso di plastica.
Fa
benissimo Gallego a puntare il dito contro l’abuso dei prodotti usa
e getta, ma trovo che sarebbe più sensato imporre la produzione di
piatti compostabili alle aziende, anziché raccomandare alle persone
di non usare quelli di plastica. Quello che è stato fatto con i
cotton fioc.
Troppo
oneroso? Ne siamo sicuri? A Genova, in via Macelli di Soziglia, c’è
la rosticceria vegana Jaanu che, oltre a fare cose buonissime, usa
contenitori compostabili che vanno quindi gettati con l’umido.
Il
libro accenna anche alla differenza fra compostabile e
biodegradabile. Una confezione
compostabile è quella che si degrada completamente in un lasso di
tempo ridotto, come la materia organica, senza rilasciare sostanze
nocive nell’ambiente. Biodegradabile non è affatto un sinonimo,
come molti pensano. E’ un termine ingannevole perché spinge a non
tenere conto del tempo che impiega un materiale per biodegradarsi.
Jaanu
è
un piccolo negozio che riesce a mantenere prezzi accessibili non
penalizzando la qualità. Se possono far rientrare nel budget
questo tipo di contenitori, lo può fare chiunque, ma probabilmente chi,
a differenza loro, non ha un interesse sincero per l’ambiente e
un’etica da seguire, non si è mai neppure informato su alternative
e costi…
Se però lo Stato imponesse dal 2021 l’esclusiva produzione e utilizzo di
contenitori compostabili per il cibo d’asporto nell’arco di poco
tempo diventerebbe una prassi normale, com’è stato per i sacchetti
biodegradabili che hanno sostituito quelli di plastica. Senza
sconvolgere la vita di nessuno, direi.
Il
problema è serio, è enorme, e senza un cambiamento radicale non ci
sarà mai una tangibile inversione di tendenza.
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Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia artista di luglio