sabato 11 luglio 2020

"Plastic detox", Jose Luis Gallego


16 km quadrati di superficie marina sono coperti da cinque isole di plastica galleggianti.
Nel solo Mediterraneo il 96% della spazzatura che galleggia in superficie e il 72% di quella che si accumula sulle spiagge sono costituiti da plastica.
Tutti sbottiamo nel tipico “roba da matti” quando guardiamo i servizi a tema in televisione, eppure tutti contribuiamo allo sfacelo.

Il proposito di questo breve saggio è quello di sensibilizzare i lettori a cambiare le proprie abitudini analizzandole settore per settore, a casa, sul lavoro, a scuola, nel tempo libero, ecc, fornendo idee e consigli e completando il tutto con una guida ai diversi tipi di plastica per poterla riconoscere e differenziare correttamente.

La parte propositiva l’ho trovata abbastanza deludente, non fornisce spunti originali per chi è già attento al problema e non è particolarmente incisiva per stimolare quelli che se ne infischiano.
Persone, queste ultime, che comunque non leggeranno il libro e questo è un aspetto basilare del problema, le troppe persone che non lo sentono come proprio quando invece lo è, eccome, e lo è soprattutto per chi, a differenza mia, ha figli, che facilmente a loro volta avranno figli, che avranno anch’essi figli, ecc, ecc…

Non è un dettaglio da poco: non avendo avuto figli, se volessi pensare solo a me stessa e avendo già 50 anni, mi basterebbe che la Terra rimanesse ancora vivibile per quanto? Diciamo una trentina d’anni, ad essere ottimisti…
Ma a una mia coetanea con figli ventenni 30 anni non bastano, ai suoi figli ne servono 60. E se vuole pensare anche ai nipoti che presumibilmente nasceranno fra dieci anni, ecco che la mia coetanea deve sperare in almeno 90 anni di Terra vivibile e così via.
Di generazione in generazione l’interesse per la salvaguardia del pianeta aumenta, è ovvio. O meglio, sembrerebbe ovvio, perché noto costantemente un maggior interesse per le tematiche ambientali nelle persone che conosco che hanno animali, non in quelle che hanno figli e la cosa – se non mi facesse arrabbiare – mi farebbe quasi sorridere.

Tornando al libro e ai suoi consigli, tutti sanno che bisogna portarsi le sporte da casa quando si va a fare la spesa, ma nella pratica lo fa solo chi ha un minimo di spinta ecologista. E questo discorso vale per tutti gli spunti forniti dall’autore: validi, ma noti.

Sull’altro aspetto fondamentale del problema plastica non sono d’accordo con lui:

"E’ facile addossare la colpa ai produttori che chiaramente sono i primi indiziati: potrebbero produrle con materiali biodegradabili

Avendo scritto un libro per invogliare le persone a ridurre il consumo di plastica e a fare una corretta raccolta differenziata è lecito che in più punti del testo ricordi le responsabilità del singolo e l’importanza che ognuno faccia il suo, ma io sono convinta che il primo passo vada fatto dalla legislatura dei vari Paesi, imponendo regole precise ai produttori perché, per quanto si sia volonterosi nel fare attenzione al packaging al momento della spesa, è impossibile non portarsi a casa degli imballaggi superflui, molto spesso di plastica.

Fa benissimo Gallego a puntare il dito contro l’abuso dei prodotti usa e getta, ma trovo che sarebbe più sensato imporre la produzione di piatti compostabili alle aziende, anziché raccomandare alle persone di non usare quelli di plastica. Quello che è stato fatto con i cotton fioc.

Troppo oneroso? Ne siamo sicuri? A Genova, in via Macelli di Soziglia, c’è la rosticceria vegana Jaanu che, oltre a fare cose buonissime, usa contenitori compostabili che vanno quindi gettati con l’umido. 
 
Il libro accenna anche alla differenza fra compostabile e biodegradabile. Una confezione compostabile è quella che si degrada completamente in un lasso di tempo ridotto, come la materia organica, senza rilasciare sostanze nocive nell’ambiente. Biodegradabile non è affatto un sinonimo, come molti pensano. E’ un termine ingannevole perché spinge a non tenere conto del tempo che impiega un materiale per biodegradarsi.

Jaanu è un piccolo negozio che riesce a mantenere prezzi accessibili non penalizzando la qualità. Se possono far rientrare nel budget questo tipo di contenitori, lo può fare chiunque, ma probabilmente chi, a differenza loro, non ha un interesse sincero per l’ambiente e un’etica da seguire, non si è mai neppure informato su alternative e costi…

Se però lo Stato imponesse dal 2021 l’esclusiva produzione e utilizzo di contenitori compostabili per il cibo d’asporto nell’arco di poco tempo diventerebbe una prassi normale, com’è stato per i sacchetti biodegradabili che hanno sostituito quelli di plastica. Senza sconvolgere la vita di nessuno, direi.

Il problema è serio, è enorme, e senza un cambiamento radicale non ci sarà mai una tangibile inversione di tendenza.
 
Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia artista di luglio