Val
Bormida (Piemonte), giorni nostri. Sarah e Mark si sono conosciuti a
capodanno e fra loro c’è stato il più classico dei colpi di
fulmine, così travolgente che otto mesi dopo, freschi sposi, stanno
attraversando il Piemonte dopo aver trascorso sulle rive del lago di
Como la prima notte del viaggio di nozze che avrà come destinazione
finale Viareggio.
Mark,
fotografo di professione, ha preferito lasciare l’autostrada
sperando di cogliere qualche scorcio interessante delle Langhe
percorrendo le statali. A 7 km da Roccaverano, proprio nelle ore più
torride di quell’afoso 4 agosto, il dramma: finisce la benzina!
La
strada è deserta e Mark può solo recuperare la tanica dal
bagagliaio e incamminarsi verso il paese alla ricerca di un
benzinaio.
Quella che per Sarah doveva essere un’attesa di un’ora o poco più
si prolunga prima in maniera esasperante, poi preoccupante via via
che le ore passano, sempre più tesa nella speranza di veder
rispuntare il marito da dietro la curva, ma Mark non tornerà più…
Avevo
inserito questo titolo nella mia wish list perché la sinossi, oltre
a far sperare in un bel thriller, diceva: “Sono diretti in Liguria
dalla natia Germania” e, anche se era chiaro che nella mia regione
non ci sarebbero mai arrivati, per me Genova e Liguria sono sempre
un’attrattiva irresistibile.
A
lettura ultimata è irrilevante che la destinazione non fosse la
Liguria, ma la Toscana: quel che pesa è che non si tratta di un bel
thriller.
Lo
stile di scrittura è semplice, banale e ripetitivo, niente per cui
valga la pena spenderci dei soldi, ma nella prima delle tre parti la
storia è intrigante. La situazione descritta nella sinossi crea
sufficiente tensione, si sa che questo marito non tornerà dalla
moglie e la curiosità di sapere come lei
affronterà la situazione è viva.
Nella
seconda e terza parte tutta l’adrenalina si perde e la vicenda
diventa sempre più inverosimile e mal raccontata. L’autrice
gestisce malissimo i salti temporali e, anzichè costruire almeno un
poco il personaggio della protagonista (il più delle volte davvero
cretina), si perde in particolari inutili e stupidi.
Soprattutto porta avanti la storia
basandola su una coincidenza enorme a cui non prova neppure a dare un
senso. Tutto appare come fortuito e casuale perché affida gli
sviluppi ai presentimenti di Sarah, impressioni basate sul nulla, e per
suscitare tensione sfrutta situazioni da B Movie (come un tentativo
di fuga in piena notte, durante un temporale con le
immancabili chiavi dell’auto che cadono di mano nel buio) con
dialoghi da C Movie (se esistono…), in primis un ridicolo “Apriti,
Sesamo” durante la forzatura di una porta!
Ma
alla Vilshofer - che ha perso il mio rispetto nel momento in cui
è arrivata a definire “uno stravagante peccato di gioventù”
l’uccisione di un cane tramite impalamento - devo però riconoscere
il merito di aver compiuto un miracolo, quello di aver risvegliato il
mio patriottismo, un bel po’ malato e deboluccio…
Fra
un “questa maledetta regione è un mortorio” e un “che razza di
desolazione”, la signora non perde occasione per sminuire la
bellezza oggettiva di quelle zone, ma ad essere davvero offensive
sono le banalità anacronistiche con cui descrive noi italiani, dal
meccanico sporco e puzzolente che esce con difficoltà da sotto una
Cinquecento scassata a evitabili riferimenti al mostro di Firenze,
passando per carabinieri
incompetenti affetti da “quell’indolenza tutta italiana” e un
alto tasso di sarcasmo nell’ipotizzare in
quanto tempo sia
traducibile l’espressione “un po’” avendo a che fare con noi…
Sono la prima a lamentarmi per tutti i nostri infiniti difetti, ma la
signora ha davvero esagerato e anziché abbandonarsi a questi
stereotipi avrebbe fatto più bella figura a documentarsi di più
sull’Italia, così magari - fra le tante cose - non
avrebbe dato a un carabiniere il grado di un poliziotto...
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