sabato 11 giugno 2022

"Il rogo di Berlino", Helga Schneider


"Adolf Hitler è solo un bohémien vanitoso che viene dalla strada. Che alcuni lo temano, ecco una cosa che va al di là della mia comprensione."

Così inizia il libro, con lo stralcio di un discorso pronunciato da Hindenburg, Presidente del Reich, il 4 febbraio 1931. La storia insegna come l'ascesa di Hitler sia stata sottovalutata e questo libro racconta gli effetti del nazismo da un punto di vista insolito, quello di Helga Schneider, che li visse da bambina, figlia di nazisti.

Nata il 17 novembre 1937 a Steinberg (l'attuale Jastrzebnik, all'epoca tedesca, oggi polacca) da genitori austriaci, ha quattro anni quando - nell'autunno del 1941 - la madre abbandona lei e il fratellino Peter di 19 mesi a casa della facoltosa zia paterna per arruolarsi nelle SS: questo aspetto della vita dell'autrice è il tema di un altro suo libro, "Lasciaci andare, madre", scritto nel 2001 e che senz'altro leggerò.

Ne "Il rogo di Berlino", scritto nel 1995, racconta la breve e infelice convivenza nella villa di zia Margarete e quella successiva e felice con la nonna paterna - arrivata dalla Polonia (cosa non da poco in tempo di guerra e in un'epoca in cui il solo spostarsi da un capo all'altro di una città medio-grande costituiva a tutti gli effetti un viaggio) alla notizia dell'arruolamento della nuora (da lei definita una Nazihure, una troia nazista), con l'intento di tornare subito indietro con i due nipotini (per non farli trasformare in due "manichini impettiti" dalla figlia), ma obbligata a restare con loro a Berlino per volere del figlio, impegnato al fronte.

Di lì a poco lui si risposa con una giovane donna, Ursula, che riuscirà a essere una madre a tutti gli effetti per Peter, ma non per Helga, arrivando a internarla prima in un posto che la Schneider definisce lager (e che descrive come "un deposito per fanciulli non desiderati o ritenuti indegni di appartenere alla razza ariana in quanto ciechi, sordomuti, storpi, paralizzati, nani, subnormali e così via") e successivamente in un altro centro dove la bambina riesce a trovare una certa tranquillità. Ma anche questa parentesi dura poco ed Helga si ritrova a Berlino con il fratellino, la matrigna e il padre di quest'ultima (lui e la nonna paterna sono le persone migliori).

Questo accade alla fine dell'estate del 1944 ed è qui che si arriva al nocciolo della narrazione.

Berlino, che dal 1940 era stata oggetto di bombardamenti occasionali e di scarsa intensità, nel 1943 era già un bersaglio quotidiano. I civili tedeschi cercavano riparo nelle cantine dei caseggiati, cosa che furono costretti a fare anche la Schneider e i suoi familiari.

Il suo stile di scrittura semplice e diretto riesce a descrivere le sensazioni e i pensieri di lei bambina per quelli che erano, puri, ed è così che le sue paure colpiscono duramente, perché prive di responsabilità.

"Ogni incursione aerea, inoltre, sembrava volermi confermare l’inimicizia assoluta del mondo, e io continuavo a chiedermi per quale colpa l’avessi meritata."

Le paure di Helga bambina saranno sicuramente state identiche a quelle provate da mia madre (classe 1939) nel rifugio di Sampierdarena durante i bombardamenti su Genova.

Perché, lo dico chiaro, leggere "Avevamo subito un'incursione notturna" è stato un affronto. Per me che provengo da una famiglia partigiana è intollerabile l'uso del verbo "subire" da parte di un tedesco, ma forse lo scopo del libro supera la storia personale e serve a evidenziare come anche fra di loro ci sia stato chi ha davvero subito le decisioni dei nazisti e le conseguenze derivanti, come gli attacchi aerei degli avversari, le successive rappresaglie, la fame, la sete, la perdita della dignità a fronte di situazioni inimmaginabili per chi non le ha dovute patire.

Nessuno a sette anni dovrebbe mai aver accumulato così tanta paura da arrivare al punto di desiderare "solo addormentarmi per non svegliarmi mai più" o di chiedersi: "Avrò il tempo di crescere?". Ma ha fatto bene la Schneider a rivolgere un pensiero a chi ha subito ancora più di lei/loro.

"Eravamo andati oltre il sopportabile, oltre il vivibile, oltre l'immaginabile, oltre le nostre forze, oltre l'umano. Eppure in seguito dovetti imparare che la nostra sofferenza non era stata nulla in paragone a quella che era toccata agli ebrei massacrati nei campi di concentramento."

Reading Challenge 2022, traccia di giugno: un libro con il nome di un luogo nel titolo