giovedì 16 giugno 2022

"La variante Luneburg", Paolo Maurensig

 

Il cadavere di Dieter Frisch viene ritrovato la mattina di una domenica attorno agli anni '90 proprio al centro del labirinto vegetale che costituisce una delle maggiori particolarità del parco della sua villa settecentesca alle porte di Vienna. Accanto al corpo c'è la sua pistola munita di silenziatore e, nonostante non venga ritrovato un messaggio di addio, tutti pensano che si tratti di suicidio.
Frisch come ogni settimana era rientrato da Monaco nella tarda serata di venerdì, la cameriera racconta un comportamento insolito da parte sua per tutta la giornata del sabato, apatico e inappetente, ma nulla da far pensare a un epilogo simile. Eppure...
Per capire bisogna fare un passo indietro, a quel viaggio in treno Monaco-Vienna del venerdì sera. E da lì scavare in un passato ancora più remoto: retrocedere di oltre quarant'anni spostandosi in Bassa Sassonia, nel campo di concentramento di Bergen-Belsen.

Seconda opera di Maurensig, scritta nel 1993, e secondo suo romanzo che leggo. Quando l'ho scelto per la traccia della Reading Challenge "un libro dove avviene un suicidio o presunto tale" ero parecchio titubante, temevo di trovarmi rallentata dallo stile di scrittura antiquato come mi era successo lo scorso gennaio con "Il diavolo nel cassetto".
Con "La variante Luneburg" è stato ancora peggio perché all'angoscia derivante dal modo di scrivere dell'autore - sicuramente impeccabile, ma per me eccessivamente formale e pesante - si sono aggiunti un'ansietà e un disagio dovuti alla consapevolezza di non riuscire ad apprezzare un testo considerato da tutti un capolavoro.

Invece a me non è piaciuto: non provo neppure a infiocchettare il mio parere, per quanto impopolare possa essere.

La partenza era stata buona: al di là della lentezza e dell'anacronismo (ambientazione e personaggi sembrano usciti dagli anni '20), quello che si legge è una storia gialla ed è piuttosto intrigante. Ma quando parte la ricostruzione della vicenda con i vari flashback il rilievo dato al gioco degli scacchi mi ha fatta precipitare nel disinteresse assoluto. Anche sforzandomi di pensare che era solo un pretesto, un filo conduttore come un altro per creare l'architettura della storia e generare i collegamenti fra i personaggi coinvolti, non sono riuscita a non annoiarmi da morire. Non credo serva essere appassionati di scacchi per apprezzare il libro, ma di certo se il mio interesse per questo gioco fosse stato anche solo un filino maggiore dello zero assoluto che invece è, mi avrebbe aiutata non poco a superare la parte centrale.

Il libro è tornato a coinvolgermi quando ha svelato i ruoli dei personaggi: aspettavo da molte pagine (molte per modo di dire, il libro è breve) un chiarimento, una rivelazione. Non avevo letto la sinossi, non sapevo che fosse un libro sulla Shoah. A quel punto affermazioni precedenti come "Un uomo che ha giocato all'inferno" hanno assunto un significato ben diverso da quelle che mi erano sembrate delle esagerazioni sull'onda di un certo fanatismo verso il gioco degli scacchi.

Quindi il libro si è riscattato, sì, ma non abbastanza, anche a causa del finale deludente, incompiuto.

Se devo citare un capolavoro su questo tema la mia scelta cade su "Se questo è un uomo" di Primo Levi: non c'è paragone.

Reading Challenge 2022, traccia di giugno: un libro dove avviene un suicidio o presunto tale