martedì 28 giugno 2022

"L'ordine del giorno", Eric Vuillard

Austria, 12 marzo 1938. E' il giorno dell'Anschluss, l'annessione dell'Austria alla Germania nazista. Quella mattina "gli austriaci attesero l'arrivo dei nazisti febbrilmente, con un'allegria indecente. Su molti filmati del tempo si vede la gente affollarsi davanti ai chioschi e ai furgoni degli ambulanti per procurarsi una bandierina con la croce uncinata".
Nel referendum indetto da Hitler un mese dopo, il 10 aprile, per far apparire legale l'occupazione, il 99,75% degli austriaci votò a favore dell'annessione al Reich.
Austriaci tutti nazisti, quindi? No. Mentre i preti dal pulpito invitavano i fedeli a votare per i nazisti, gli oppositori venivano ridotti al silenzio. Chi non aveva la forza per battersi preferiva farla finita: solo nella settimana precedente al referendum più di millesettecento persone scelsero questa strada facendo diventare il suicidio un atto di resistenza.

Eric Vuillard - scrittore, regista e sceneggiatore lionese classe 1968 - in questo breve saggio (137 pagine) pubblicato nel 2017 e vincitore del premio Goncourt dello stesso anno, racconta quel giorno, ma soprattutto ripercorre gli avvenimenti precedenti che, di fatto, portarono all'ascesa del nazismo.

E inizia da un lunedì di cinque anni prima, quando il 20 febbraio 1933 ventiquattro industriali tedeschi si riunirono nel palazzo del presidente del Reichstag, a Berlino. Riporta l'elenco dei ventiquattro nomi, nomi che a noi italiani (forse anche a molti tedeschi) dicono poco, ma che si traducono in Bayer, Opel, Siemens, Allianz, Telfunken, Varta...
I ventiquattro sono tutti esponenti delle più alte sfere dell'industria e della finanza e quel lunedì si riuniscono per raccogliere i fondi richiesti dal partito nazista. A battere cassa c'è Hermann Goring, l'inventore della Gestapo, non uno qualunque...
C'è anche Hitler, che esorta i presenti all'impegno perché "bisogna farla finita con un regime debole, bisogna allontanare la minaccia comunista, sopprimere i sindacati e permettere a ogni padrone di essere un Fuhrer nella propria impresa".

Non sono necessarie grandi doti di affabulatore per convincerli: le guerre sono sempre redditizie per i potenti, questo non cambierà mai e loro lo sanno bene. Successivamente ognuno di loro poté usufruire di manodopera a costo zero attingendo a piene mani tra i condannati ai lavori forzati forniti dalle SS. Creavano campi di concentramento nei pressi delle loro fabbriche. Vuillard riporta un esempio scioccante: di un lotto di seicento deportati arrivati alle fabbriche Krupp nel 1943, un anno dopo i sopravvissuti erano appena venti! Uomini usa e getta.

Non sono dettagli da poco, non è storia vecchia.

"Quei nomi esistono ancora. I loro patrimoni sono immensi"

Il saggio mette in luce anche il poco che fecero le altre potenze straniere per ostacolare il nazismo, quando ancora forse si era in tempo per fare qualcosa. Si concentra soprattutto sull'Inghilterra, in particolare su colui che venne mandato in Germania per parlare di pace ai tedeschi, che vantavano pretese sull'Austria e su una parte della Cecoslovacchia. Il 17 novembre del 1937 Lord Halifax viene ricevuto da Hitler e nel riportare l'esito di questo incontro scrive:

"Il nazionalismo e il razzismo sono forze potenti, ma non le considero né immorali né contro natura"

E ancora:

"Non ho dubbi che queste persone odino davvero i comunisti. E le assicuro che se fossimo al loro posto proveremmo lo stesso sentimento"

Se tutti quelli che potevano fare qualcosa per ridimensionare l'ideologia nazista la pensavano così, non c'è da stupirsi se dieci anni dopo l'Europa si sia ritrovata in ginocchio a contare milioni di morti.

"Nessuno poteva ignorare i progetti dei nazisti, le loro intenzioni brutali. L'incendio del Reichstag, l'apertura di Dachau e la sterilizzazione dei malati di mente nel 1933, la Notte dei lunghi coltelli nel 1934, le leggi sulla tutela del sangue e dell'onore germanico e il censimento delle caratteristiche razziali nel 1935: era davvero parecchia roba."

E non dimentichiamo che anche l'Italia fascista ha beneficiato della politica di appeasement.

Tre mesi dopo l'incontro con Lord Halifax, il pressing di Hitler sull'Austria si fa via via più incalzante. Vuillard dà molto spazio all'inutilità/incapacità nel trattare del cancelliere Schunschnigg (che chiama spesso "piccolo despota austriaco"), spiega cosa Hitler chiedeva e la presa in giro della contropartita offerta (ad esempio rinunciare a qualsiasi intromissione nella politica interna dell'Austria quando fra le pretese c'era l'imposizione della nomina di una nazista a ministro dell'interno con pieni poteri).

E dopo un'invasione simulata si arriva a quella reale del 12 marzo 1938 che è il fulcro del saggio e che, a mio modo di pensare, finisce col penalizzarlo.

Perché l'invasione militare dei nazisti in Austria fu esattamente l'opposto di quello che ci si sarebbe aspettati da un esercito rapido e moderno: a Linz i panzer tedeschi andarono tutti in panne creando un ingorgo pazzesco che ostacolò non poco il passaggio dello stesso Hitler e, di conseguenza, la sua entrata trionfale a Vienna.

Tutto vero, si guastarono anche le moto! Ma la mia domanda è: e allora? Il 15 marzo Hitler venne comunque acclamato dagli austriaci consenzienti davanti al palazzo imperiale. Se anche tre giorni prima fecero una figuraccia, per quanto clamorosa, a cosa servì? A nulla, forse solo a dare a Vuillard un argomento per un suo saggio settantanove anni dopo. La parte bella, interessante, da non dimenticare è quella iniziale, relativa agli industriali che hanno aumentato le loro ricchezze grazie al nazismo senza mai pagarne le conseguenze
Sbeffeggiare i tedeschi (perché il tono usato dall'autore è proprio canzonatorio) per una fila di panzer fuori uso è come perdere una partita 5-1 e deridere gli avversari per quell'unico gol fatto. Ridicolo.

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