martedì 5 novembre 2019

"Io sono leggenda", Richard Matheson


Stati Uniti, gennaio 1976. Un batterio, il bacillo vampiris, ha infettato l’umanità e adesso la Terra è popolata da vampiri che, come leggenda vuole, nelle ore diurne si nascondono per evitare l’esposizione alla luce solare e di notte vivono nelle tenebre. Alcuni di essi, quelli che si aggirano nei dintorni di una non citata cittadina californiana, hanno uno scopo ben preciso: perseguitare Robert Neville, l’ultimo uomo del pianeta.
E lui deve fare l’esatto contrario: di notte rinchiudersi nella sua villetta, che ha trasformato in un fortino, mentre di giorno può spingersi fin dove lo porta la sua giardinetta per recuperare non solo mezzi di sostentamento, ma anche libri.
Perchè lui, nonostante i lutti, la solitudine e la palese mancanza di speranze, vuole capire cosa sia davvero successo al genere umano…

Io non abbandono mai un libro iniziato. Potrei anche farlo, ma non voglio: come mi è già capitato di scrivere, caratterialmente vivrei peggio il fastidio per aver lasciato una cosa incompiuta rispetto a quello che posso provare durante la fase di lettura. E faccio bene visto che capita, e non di rado, che un libro parta “male” e poi mi prenda.

Se Matheson avesse citato il bacillo vampiris nella prima riga, come ho fatto io buttando giù questo abbozzo di trama, avrei sicuramente rimosso il libro dal mio Kindle all’istante. Perchè io i vampiri proprio non li sopporto, né quelli classici né quelli moderni. Idem la fantascienza: non so perché, ma quando ho scelto di leggere questo libro ero convinta che fosse un horror. E non avevo letto la sinossi per timore di grossi spoiler, trattandosi di un classico noto a tutti (eccetto me, che non ho visto neppure i tre film).
Di conseguenza, quando ho capito di avere a che fare con un’opera che rientra nei due generi che più disdegno (fantascienza e classici, appunto) e che associati possono solo uccidermi il piacere della lettura, avevo già superato la prima riga, non di molto, ma abbastanza da dover proseguire per principio.

E tutto sommato sono contenta di averlo fatto: non posso dire che il libro mi sia piaciuto, oltre alle storie di vampiri non sono per niente attratta dal post apocalittico e – non avendo mai avuto interesse per libri, film e serie TV a tema – non sono in grado di attribuire all’autore il merito dell’invenzione degli zombie, come mi ha spiegato mio marito (anche perché se nessuno li avesse creati non ne avrei mai sentito la mancanza ^^).
Sinceramente non ho neppure trovato il libro così profondo da spingermi a grandi riflessioni su cosa sia la normalità o su chi sia il vero nemico di Neville…

Però, come in "Io sono Helen Driscoll", ho apprezzato lo stile semplice di Matheson, mi è piaciuto il modo in cui con i flashback ricostruisce il passato del protagonista spiegando così il perchè dei vampiri, ma soprattutto mi è piaciuto il quattordicesimo capitolo, quello dove i ricordi di Robert lo portano a riflettere sul peso avuto dal fanatismo religioso e dalla disinformazione di certa stampa durante la fase di contagio. Il coinvolgimento per un singolo capitolo non riesce a rendermi soddisfatta per l'intero libro, ma è sufficiente a farmi sentire contenta per averlo letto.

Reading Challenge 2019: collegamento con la traccia musicale di novembre per la parola "sono" nel titolo