Sud della
Finlandia, anni ‘70. Due uomini, un giornalista e un fotografo,
stanno rientrando nella capitale dopo una giornata di lavoro fuori
sede. L’uomo alla guida, il fotografo, accecato dal sole che sta
tramontando non vede il giovane leprotto in mezzo alla strada e lo
colpisce non facendone un dramma. Il giornalista seduto al suo fianco,
invece, si preoccupa per la bestiola, scende dall’auto, la insegue,
la raggiunge.
E non torna più indietro.
E’
il secondo libro di Paasilinna che leggo, il primo era stato “La fattoria dei malfattori” e “L’anno della lepre” sarà
anche l’ultimo. Questo autore, tanto amato, non riesce proprio a
convincermi.
Ho
ritrovato tutti gli aspetti che mi avevano dato fastidio nella
lettura dello scorso anno, ma questa volta senza rilevare aspetti
positivi.
L’irritazione che provo per le situazioni surreali che descrive è potente, ma di poco conto: è il mio modo di essere – troppo quadrata, troppo razionale, troppo chiusa verso ciò che è strambo – a impedirmi di apprezzare l’umorismo di questo autore, che conquista tutti o quasi.
L’irritazione che provo per le situazioni surreali che descrive è potente, ma di poco conto: è il mio modo di essere – troppo quadrata, troppo razionale, troppo chiusa verso ciò che è strambo – a impedirmi di apprezzare l’umorismo di questo autore, che conquista tutti o quasi.
E
indubbiamente mi manca una conoscenza, anche minima, della Finlandia,
della sua storia, del suo popolo, ecc, indispensabili per poter
cogliere l’essenza di ciò che Paasilinna vuole trasmettere. Da
questo punto di vista ho trovato molto interessante la postfazione in
cui Fabrizio Carbone parla dei dilemmi interiori tipici dei
finlandesi e anche del loro amore per il paradosso, della passione
per il surreale, ecc…
Non
sono neppure sicura di aver colto correttamente la morale del libro
e, in riferimento a quanto spiegato nella sinossi (“un viaggio
iniziatico verso la libertà, la scoperta che la vita può essere
reinventata ogni momento e che, se la felicità è per natura
anarchica e sovversiva, si può anche provare ad avere il coraggio di
inseguirla”), riesco a condividerlo solo in linea teorica
perché nella pratica quello che fa Kaarlo Vatanen, il quarantenne
protagonista del libro, stanco della propria situazione matrimoniale
e lavorativa, è scappare dai propri problemi anziché affrontarli e
questo non mi sembra un gran messaggio da trasmettere, anche perché nella vita reale non
si risolverebbe niente andando a rifugiarsi nelle foreste lapponi!
Ma
sono
gli animali a rendere insormontabile il muro fra me e questo autore.
Penso che la maggior parte delle persone ricordi questo libro anche,
o soprattutto, per il bel legame che si crea fra l’uomo in fuga e
il leprotto selvatico che riesce ad addomesticare, e in effetti le
descrizioni di questo rapporto sono proprio tenere e carine.
Ma io non posso nè voglio sorvolare sul corvo e sull'orso, episodi totalmente inconciliabili con quanto di giusto l'autore aveva scritto poco prima:
Ma io non posso nè voglio sorvolare sul corvo e sull'orso, episodi totalmente inconciliabili con quanto di giusto l'autore aveva scritto poco prima:
"Devo fermare questa orrenda caccia, si disse Vatanen, ma non vedeva come. Ma com'era possibile che esistesse gente di quella risma? Che gusto ci si prova a essere così feroci, perchè l'uomo si degrada in modo così crudele?"
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Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia vagabonda di
aprile "un libro ambientato in Finlandia"