sabato 23 maggio 2020

"L'anno della lepre", Arto Paasilinna


Sud della Finlandia, anni ‘70. Due uomini, un giornalista e un fotografo, stanno rientrando nella capitale dopo una giornata di lavoro fuori sede. L’uomo alla guida, il fotografo, accecato dal sole che sta tramontando non vede il giovane leprotto in mezzo alla strada e lo colpisce non facendone un dramma. Il giornalista seduto al suo fianco, invece, si preoccupa per la bestiola, scende dall’auto, la insegue, la raggiunge.
E non torna più indietro.

E’ il secondo libro di Paasilinna che leggo, il primo era stato “La fattoria dei malfattori” e “L’anno della lepre” sarà anche l’ultimo. Questo autore, tanto amato, non riesce proprio a convincermi.
Ho ritrovato tutti gli aspetti che mi avevano dato fastidio nella lettura dello scorso anno, ma questa volta senza rilevare aspetti positivi.

L’irritazione che provo per le situazioni surreali che descrive è potente, ma di poco conto: è il mio modo di essere – troppo quadrata, troppo razionale, troppo chiusa verso ciò che è strambo – a impedirmi di apprezzare l’umorismo di questo autore, che conquista tutti o quasi.
E indubbiamente mi manca una conoscenza, anche minima, della Finlandia, della sua storia, del suo popolo, ecc, indispensabili per poter cogliere l’essenza di ciò che Paasilinna vuole trasmettere. Da questo punto di vista ho trovato molto interessante la postfazione in cui Fabrizio Carbone parla dei dilemmi interiori tipici dei finlandesi e anche del loro amore per il paradosso, della passione per il surreale, ecc…

Non sono neppure sicura di aver colto correttamente la morale del libro e, in riferimento a quanto spiegato nella sinossi (“un viaggio iniziatico verso la libertà, la scoperta che la vita può essere reinventata ogni momento e che, se la felicità è per natura anarchica e sovversiva, si può anche provare ad avere il coraggio di inseguirla”), riesco a condividerlo solo in linea teorica perché nella pratica quello che fa Kaarlo Vatanen, il quarantenne protagonista del libro, stanco della propria situazione matrimoniale e lavorativa, è scappare dai propri problemi anziché affrontarli e questo non mi sembra un gran messaggio da trasmettere, anche perché nella vita reale non si risolverebbe niente andando a rifugiarsi nelle foreste lapponi!

Ma sono gli animali a rendere insormontabile il muro fra me e questo autore. Penso che la maggior parte delle persone ricordi questo libro anche, o soprattutto, per il bel legame che si crea fra l’uomo in fuga e il leprotto selvatico che riesce ad addomesticare, e in effetti le descrizioni di questo rapporto sono proprio tenere e carine.
Ma io non posso nè voglio sorvolare sul corvo e sull'orso, episodi totalmente inconciliabili con quanto di giusto l'autore aveva scritto poco prima:

"Devo fermare questa orrenda caccia, si disse Vatanen, ma non vedeva come. Ma com'era possibile che esistesse gente di quella risma? Che gusto ci si prova a essere così feroci, perchè l'uomo si degrada in modo così crudele?

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia vagabonda di aprile "un libro ambientato in Finlandia"