Holt
(Colorado), inizio estate. Dad Lewis ha 77 anni quando gli viene
diagnosticato un cancro incurabile. Sa che entro settembre morirà e
lo sanno anche la moglie Mary e la figlia Lorraine, tornata a Holt
per trascorrere insieme al padre l’ultimo capitolo della sua vita.
Cosa che invece non fa Frank, il figlio scappato di casa tanti anni
prima. E'
il più grande rammarico di Dad, quel figlio che non ha saputo
accettare e che ha perso…
Ultimo
romanzo della trilogia di Holt che inspiegabilmente è stato il
primo ad essere tradotto e pubblicato in Italia. Non riesco a
capacitarmi di una scelta editoriale così assurda e se fossi stata
fra quelli che si sono trovati a leggere per primo il terzo libro
della trilogia mi sarei arrabbiata tantissimo, non solo per una
questione di ordine logico, ma anche perché in “Benedizione” si
accenna ai fratelli McPheron con un clamoroso spoiler se letto prima!
E’
passato un numero imprecisato di anni dalle vicende di "Canto della pianura" e di “Crepuscolo”.
Se in "Crepuscolo" avevo riscontrato il Kent Haruf più amaro, qui ho trovato
quello più triste. In un’ambientazione più cittadina che rurale
rispetto agli altri romanzi, è anche quello meno corale con un indiscusso protagonista.
Dad Lewis è un uomo d’altri tempi, preciso, metodico, affidabile.
Ma anche inflessibile e moralista.
Al
pari degli abitanti di Holt, puntuali a presentarsi in chiesa ogni
domenica, ma non disposti ad accettare quel reverendo cacciato da
Denver per aver osato difendere i diritti degli omosessuali e che
ora, nella loro cittadina, predica addirittura il porgere
l’altra guancia e l’amore verso il prossimo, nemici compresi. E cosa importa che sia scritto nel vangelo?
Ah, la meravigliosa
ipocrisia cristiana…
Ma
il reverendo Lyle e la sua famiglia sono solo alcuni dei personaggi
che ruotano attorno a Dad. C’è Berta May, la vicina di casa dei
Lewis che dopo aver perso la figlia per un tumore al seno si occupa
della nipotina Alice. Ci sono le parrocchiane Willa e Alene Johnson,
madre e figlia, una vedova, l’altra amante. E ci sono i "fantasmi" di
Clayton e della moglie, che affiorano dai ricordi di Dad vecchi di
quarant’anni...
Haruf,
con la sua abituale e immensa bravura, costruisce un passato e un
presente per ciascuno di loro creando figure con uno spessore che il
più delle volte gli scrittori non sono capaci di
dare neppure ai loro protagonisti.
Un
libro triste, dicevo. Pur non avendo provato buoni sentimenti nei
confronti dell’integerrimo Dad Lewis, non ho potuto fare a meno di
commuovermi per la sua fine. Solo chi ha perso una persona amata per
il cancro può descrivere quei momenti come ha fatto Haruf. E solo
chi ha vissuto un lutto del genere può ritrovarsi nella sua
ricostruzione dell’evento e io mi ci sono ritrovata più di quanto avrei voluto.
Magistrale
l’insegnamento che si trae non solo da questo terzo volume, ma
dall’intera trilogia: vale davvero la pena non cedere
all’indulgenza? Rovinare la vita agli altri e a se stessi? Ma,
soprattutto, chi ha il diritto di giudicare le scelte altrui, senza
per altro sapere nulla di quello che ha vissuto e provato un’altra
persona, sia essa figlio, genitore, amico o semplice conoscente?
Ovviamente nessuno, ma lo fanno in troppi.
Reading
Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia annuale "una trilogia" (3° volume)