giovedì 28 maggio 2020

"L'arte di correre", Haruki Murakami


Tokyo, autunno 1982. Haruki Murakami ha chiuso da circa un anno il Peter Cat, il jazz bar di cui era proprietario, per dedicarsi completamente alla scrittura quando – per contrastare i danni della sua nuova vita sedentaria – decide di cominciare a correre diventando non un semplice runner, ma un appassionato maratoneta.

"Se io corro ormai da più di vent’anni, in realtà è perché è un’azione consona alla mia natura. O per lo meno perché non è poi una fatica tremenda. Gli esseri umani trovano naturale perseverare nelle cose che amano, e in quelle che non amano no, sono fatti così. In questo la volontà avrà certo un suo ruolo, ma nessuno può continuare per molto tempo a fare qualcosa per cui non è portato, nemmeno se possiede una volontà di ferro, nemmeno se per carattere non tollera sconfitte

Fra l’estate del 2005 e l’autunno del 2006 Murakami scrive questo testo classificato come saggio, ma definito dall’autore come una sorta di diario e sono d’accordo con lui. Lo avevo comprato lo scorso anno approfittando di un’offerta e senza leggere la sinossi, scoprendo solo in seguito quanto il tema trattato fosse distante da me.

Questa simpatica vignetta spiega perfettamente il mio rapporto con la corsa!


Visto lo spessore dell’autore mi aspettavo però riflessioni profonde, spinte motivazionali applicabili anche ad altro, un incitamento alla tenacia, agli sforzi ripagati, ecc, invece l’argomento non viene trattato in questa chiave neppure riguardo al tema sportivo, è soltanto il resoconto degli allenamenti e delle gare che ha sostenuto, con qualche dettaglio tecnico poco interessante per chi non corre e immagino superfluo per chi lo fa. Un elenco cronologico di dove si è allenato, per quanto tempo, con quali risultati, ecc…

Ho apprezzato gli aneddoti di lui scrittore, ma sapere le motivazioni che lo hanno portato a correre, cosa pensa quando corre o cosa lo ha spinto dalla maratona al triathlon sinceramente non l’ho trovato stimolante e non solo a causa della mia pigrizia: impostare il lavoro in questo modo non è di aiuto a nessuno, né a chi ama la corsa, né a chi sta pensando di iniziare a correre, né a chi non prende neppure in considerazione di farlo.

E’ solo un parlare di se stesso incensandosi, con una palese (e insopportabile) falsa modestia, per altro adducendo imprevisti e inconvenienti (tutti causati da sue assurde disattenzioni, come “pulire” la maschera senza essersi lavato le mani dopo essersi spalmato il corpo di vaselina prima di una gara di triathlon!) per spiegare i propri insuccessi.

Ma la cosa grave, che mi ha davvero infastidita e delusa, è la superficialità con cui ha trattato la questione del riscaldamento globale. Poche righe (evitabili) in cui ha minimizzato il problema con un’ignoranza sorprendente e una pericolosità inquietante. Vorrei sapere se a distanza di una quindicina di anni, e con l’aggravarsi della situazione climatica, continua a considerare il riscaldamento globale solo un capro espiatorio utile a giustificare tutti i mali del mondo e a definirlo ancora simpaticamente “quel mascalzone”.

Reading Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia normale di maggio "scegli una casa editrice e leggi libri solo di quell'editore". Ho scelto Einaudi