Tokyo,
autunno 1982. Haruki Murakami ha chiuso da circa un anno il Peter
Cat, il jazz bar di cui era proprietario, per dedicarsi completamente
alla scrittura quando – per contrastare i danni della sua nuova
vita sedentaria – decide di cominciare a correre diventando non un
semplice runner, ma un appassionato maratoneta.
"Se
io corro ormai da più di vent’anni, in realtà è perché è
un’azione consona alla mia natura. O per lo meno perché non è poi
una fatica tremenda. Gli esseri umani trovano naturale perseverare
nelle cose che amano, e in quelle che non amano no, sono fatti così.
In questo la volontà avrà certo un suo ruolo, ma nessuno può
continuare per molto tempo a fare qualcosa per cui non è portato,
nemmeno se possiede una volontà di ferro, nemmeno se per carattere
non tollera sconfitte”
Fra
l’estate del 2005 e l’autunno del 2006 Murakami scrive questo testo
classificato come saggio, ma definito dall’autore come una sorta di
diario e sono d’accordo con lui. Lo avevo comprato lo scorso anno
approfittando di un’offerta e senza leggere la sinossi, scoprendo
solo in seguito quanto il tema trattato fosse distante da me.
Questa
simpatica vignetta spiega perfettamente il mio rapporto con la corsa!
Visto
lo spessore dell’autore mi aspettavo però riflessioni profonde, spinte motivazionali
applicabili anche ad altro, un incitamento alla tenacia, agli
sforzi ripagati, ecc, invece l’argomento non viene trattato in
questa chiave neppure riguardo al tema sportivo, è soltanto il
resoconto degli allenamenti e delle gare che ha sostenuto, con
qualche dettaglio tecnico poco interessante per chi non corre e
immagino superfluo per chi lo fa. Un elenco cronologico di dove si è
allenato, per quanto tempo, con quali risultati, ecc…
Ho
apprezzato gli aneddoti di lui scrittore, ma sapere le motivazioni
che lo hanno portato a correre, cosa pensa quando corre o cosa lo ha
spinto dalla maratona al triathlon sinceramente non l’ho trovato
stimolante e non solo a causa della mia pigrizia: impostare il
lavoro in questo modo non è di aiuto a nessuno, né a chi ama la
corsa, né a chi sta pensando di iniziare a correre, né a chi non
prende neppure in considerazione di farlo.
E’
solo un parlare di se stesso incensandosi, con una palese (e
insopportabile) falsa modestia, per altro adducendo imprevisti e
inconvenienti (tutti causati da sue assurde disattenzioni, come
“pulire” la maschera senza essersi lavato le mani dopo essersi
spalmato il corpo di vaselina prima di una gara di triathlon!) per
spiegare i propri insuccessi.
Ma
la cosa grave, che mi ha davvero infastidita e delusa, è la
superficialità con cui ha trattato la questione del riscaldamento
globale. Poche righe (evitabili) in cui ha minimizzato il problema
con un’ignoranza sorprendente e una pericolosità inquietante.
Vorrei sapere se a distanza di una quindicina di anni, e con
l’aggravarsi della situazione climatica, continua a considerare il
riscaldamento globale solo un capro espiatorio utile a giustificare tutti
i mali del mondo e a definirlo ancora simpaticamente “quel
mascalzone”.
Reading
Challenge 2020: questo testo risponde alla traccia normale di maggio
"scegli una casa editrice e leggi libri solo di quell'editore". Ho
scelto Einaudi